Causa la pandemia in atto e gli strumenti emergenziali di contenimento, la popolazione pare avvolta in una cappa d’aria opprimente, soffocante come la pellicola del domopak.
Quest’aria, persistente malgrado l’ intangibilità, comprova che anche ciò che non si può vedere, né toccare, persiste e produce effetti tangibili: nella fattispecie, un clima sociale nevrotico e intollerante.
Tale clima, incistato per inalazione informativa, vede una popolazione psichicamente e fisicamente divisa in fazioni, di cui la comunicazione istituzionale resta “incurante ma non indifferente”, citando Man Ray.
E’ il diffondersi del virus dell’intolleranza che, inoculato il batterio, produce dinamiche reciprocamente ostili, simile al viscerale odio di Gargamella verso i Puffi, in cui la cosiddetta ricerca della verità (in materia vaccinale) è pre-determinata da simpatia ideologica e dal grado di convincibilità della platea.
E’ stravagante notare che, invece che concentrarci sull’ estromissione della pandemia, l’infestazione dell’intolleranza sociale ci allontana dalla pretesa finalità di benessere. E ci impegna in relazioni sociali conflittuali, mai represse dall’autorità istituzionale.
Pare improbabile, ad oggi, attendere l’ armistizio tra le parti in lotta. Così come è improbabile attendere, da ciascuna parte, l’uso dell’intelligenza, nella misura generale che la si considera “un dono terribile”, tratteggiando il sarcasmo di M. de Unamuno.
Detto fatto, è comune condizione lo stordimento informativo mediatico e la conseguente adozione, da parte della comunità, di verità teleguidate.
E’ una previsione statistica che l’individuo non riconosca tale evidenza, come è statistica che “non veda neppure un prete nella neve” (proverbio popolare). Nondimeno, insiste l’urgenza di affrontare insieme l’evento pandemico, gli uni accanto agli altri, prima che “accanto diventi contro”, citando M. Buber.
La divisione sociale è una condizione patologica da debellare parimenti alla pandemia, visto che i rischi correlati ad entrambe le situazioni ci vedono nel tempo tutti potenziali vittime. Massimiliano Barbin Bertorelli