Si intravvede uno spiraglio di verità nel rilevare quanto, oggi, la libertà di espressione implichi scelte individuali inconsapevolmente speculari alle istanze sociali di una Società iper-mediatica ed iper-civilizzata.
Così, può attribuirsi una omologante relazione tra i fenomeni sociali e le decisioni individuali, scomodando Durkheim.
Ogni singola decisione, in questo senso, ricalca e ricade in scelte già delineate secondo tali incalzanti modalità, delle quali l’individuo tutto fa meno che consapevolizzarsi. Non per niente, “il consumatore è un lavoratore che non sa di lavorare”, secondo una eloquente definizione di J.Baudrillard.
In questo apparente avanzamento, l’immensa massa dei cittadini del mondo, come fosse quella rappresentata nel dipinto di Pellizza da Volpedo, è una entità impressiva e socialmente imponente: oramai tragicamente avviata verso una implacabile ed inesauribile capacità di consumo di prodotti commerciali.
Conseguentemente, tale massa giace differenziata, segmentata, asservita alla costante e performativa ricerca di una propria “migliore” condizione: anche quando il “meglio” diviene “nemico del bene” (cit.): anche quando il “bene”, magari, è già un’ipotesi attingibile, pur nel relativismo implicato al termine.
Questa massa ha perso via via, in nome di tal separatismo inconsulto e squalificante, l’originario potere organizzativo e coesivo tipico della comunità, declinando verso una forma di dis-organizzazione strutturata in base a meri rapporti di forza. Ed in base ad una contingenza hobbesiana nella quale ben si appalesa il concetto “nulla ci divide, tutto ci separa”
In questo scenario, è fortemente improbabile sortire dinamiche che non siano a ciò sudditanti ed esteticamente armonizzate. Così ben conformate da mimetizzare e nascondere tale insoddisfazione perenne nella veloce consumazione di desideri continui.
Massimiliano Barbin Bertorelli