Insiste un costante pensiero che identifica il benessere nelle condizioni di domestica agiatezza. A tutte quelle condizione che, in specie, ci consentono di dedicare al meglio il nostro prezioso tempo.
La possibilità di circondarsi di allietatori ed alleviatori di fatica cresce smisuratamente in una società ipertecnologica e consumistica. Tale immane dotazione e tale esteso impiego garantirebbero, almeno sulla carta, una economia di tempo e di impegni domestici, a tutto favore del consumatore-risparmiatore.
Fatto sta che, nonostante l’inusitata disponibilità di mezzi, il tempo personale così economizzato non pare restituire all’essere umano la libertà, né la spensieratezza che ne dovrebbe derivare.
In tal senso, neppure la gravosa attuale circostanza dell’ emergenza epidemiologica riuscirà, probabilmente, a far invertire all’essere umano la sua masochistica rotta.
Ogni pensiero singolo attinge alla personale appartenenza: da qui, tra l’altro, fluisce la sua massificazione-omologazione, di cui possiamo ben scorgere gli effetti. In questi effetti siamo immersi, senza margini di fattivo miglioramento, senza la possibilità di riconoscerne la effettiva connotazione.
Una omologazione stilistica si è radicata nell’anestetizzato ed inermizzato “bipede implume” (cit.Platone), sempre appeso all’idea, mistificante ed ingannevole, di acquisire una sempre maggiore condizione di agiatezza.
Gran parte delle invenzioni, a composizione del nostro arredo quotidiano, adesca ed asservisce l’intelletto, ben lontano dal suscitare un reale vantaggio.
La “tentazione per le comodità” imbriglia l’umanità civilizzata. La rende subordinata, dipendente e gracile, fisicamente e psichicamente, nella misura in cui gli aspetti sono interconnessi.
Non sorprenda, pertanto, osservare una addomesticata moltitudine umana brancolare al buio, ed anche alla luce, sventolante il vessillo della libertà: una libertà che, non essendo un dato originario, pretende, per questo, una ri-conquista giornaliera.
In sintesi conclusiva: oltre il danno delle comodità, anche la beffa.
Massimiliano Barbin Bertorelli