Il quesito “cosa mi manca?” è complementare al quesito “cosa mi avanza?”. Tanto più, in vista delle mutevolezze che tale insieme incorre quotidianamente.
La eco-sostenibilità dei quesiti sottende l’ignara impellenza del dubbio, rispetto all’origine di certa “mutevolezza” che, come tale, tende a mutare, non solo le carte in tavola, ma anche la tavola stessa.
Sia come sia, non ci si aspetti in questa sede, per una qual forma di magia, che si approntino d’emblee risposte, né esaurienti né definitive. Non avrebbe senso cercare colpevoli di comodo: tanto quanto lo avrebbe accusare il barometro del cattivo tempo.
Purchessia, è lecito aspirare ad una integrità dei quesiti, a prescindere dalle com-possibili e riconoscibili risposte.
Come un viaggio di sola andata, ciò va ad identificare l’aspirazione a tradurre certi malesseri in un unico ed esclusivo presente cui, per questo, non si può contrastare o cui soprassedere. Né, meno che meno, sottrarre forza e forma.
Nel ribadire che qualunque nostra condizione può essere sovvertita e divenire altro in un battito di ciglia, certi quesiti si orientano con spontaneità in un’ottica trascendente.
Secondo questa ottica, è affrontabile l’idea di poter viaggiare anche senza meta. Anzi, meglio: ritenere che la meta sia il viaggio stesso.
Anche, semplicemente, affrontare l’idea che ciò che occorre è già in nostro possesso, senza pre-ordinare un percorso e pre-costituirne il bagaglio.
In altre parole, possiamo sostenere che “un uomo non va mai così lontano come quando non sa dove va”, citando un pensiero attribuito a Cromwell.
In relazione a ciò, a qualificazione di un qualsivoglia possibile esito, è lecito azzardare un’indagine comparativa di ciò che ci avanza e di ciò che ci manca.
Proprio su tale composito bilanciamento di difetti ed eccessi si fonda la proiettiva occasione per meditare sulla sorte umana. E sull’inconsistenza di gran parte dei motivi, vacui e solidamente consumistici, che stampellano l’attuale mondana istanza di felicità.
Massimiliano Barbin Bertorelli