In un contesto sociale innervato di reciproca incuranza, proteso solo al benessere materiale, al primato dell’io piuttosto che al primato del noi, non è prevedibile l’assillo del senso di responsabilità nell’agire ordinario. Da questo punto di vista, infatti, ogni pensiero responsabile merita indifferenza.
Per comodità narrativa, “è stata tua la colpa e adesso dimmi che vuoi”, by Edoardo Bennato, è il fraseggio che bene esprime l’intento per cui l’individuo si smarca, più o meno abilmente, dall’imprinting coscienziale e da una liturgia che forzosamente lo implica al senso di colpa.
Non appena possibile, egli tenta di liberarsi in tutti i modi dal peso sul groppone prodotto dal senso di colpa (tipico della tradizione cristiana), che lo rende simile al mitologico Atlante con sulle spalle il peso della volta celeste.
Stante la complessità della tematica e la coazione ansiosa tra le categorie di colpa & responsabilità, l’essere umano ha il suo bel da fare nel disbrigare con successo la propria esistenza.
In una Società di tal fatta, il pensiero, prima ancora dell’azione che lo completa, tende a volersi sottrarre, non sempre riuscendovi, ai vincoli della coscienza, giacché “vivere in coscienza vuol dire vivere nella tensione”, citando Emilio Vedova.
Tanto l’azione quanto l’inazione possono diventare, passo passo, motivo di percezione di colpa, laddove non si riesca, preventivamente o successivamente, a sconnettere la funzione-coscienza.
Da un lato, la pressione interiore generata dai desideri inconfessati, dall’altro, l’imposizione di divieti, inducono nell’individuo un’oscillazione a pendolo che negli individui attitudinali termina felicemente con l’auto-redenzione.
La recitazione del mantra la colpa è tua caratterizza l’odierna urbana lotta del tutti-contro-tutti, in cui è fortemente raccomandata la vittoria della de-responsabilità su ogni questione etico-morale.
Così, di fronte alla sconnessione, all’ inermità in cui è collocata la funzione-coscienza, si può finalmente raggiungere l’olimpico obiettivo di una “coscienza pulita, mai usata prima”, citando JS Lec. Massimiliano Barbin Bertorelli