Quale argomento, nelle sue circonvoluzioni e peregrinazioni interiori, si rivela più impalpabile e, nel contempo, più insidioso ed ammorbante del cosiddetto “senso di colpa”?
Pensoso e penoso fardello che contempla sempre e comunque una personale manchevolezza nei confronti del rispettivo, più o meno rabberciato, universo social-affettivo.
Tra mille angosce e mille inefficaci tentativi di auto-assoluzione, nella bivalenza ed ambiguità di opposti stati d’animo, esso rende alterni nelle battaglie individuali combattute ogni giorno.
In effetti, pare fuori luogo, quantomeno eccessivo, definire “battaglie” certe vicende di ordinaria prassi. Tuttavia, si osservi nell’essere umano la sua pervicace intima frequentazione di tal senso di inadeguatezza e di espiazione, al punto da convivere in una vera e propria condizione belligerante.
Pertanto, se da un lato esiste una ragione per minimizzare e ricondurre il tutto alla sporadicità dell’evento, dall’altro ne esiste un’altra, pubblicamente irriferibile, che assume un ruolo ed un impatto dirompenti, tutt’altro che episodici, tutt’altro che circoscritti ed immaginari.
In tal senso, si può estensivamente e cautamente menzionare che “un prezzo del progresso si paga con la riduzione della felicità, dovuta all’intensificarsi del senso di colpa” (cit. S.Freud).
Sia come sia, una secolar tenzone contrappone la “colpa” alla “discolpa”: visto che quest’ultima solo di rado riesce a prevalere, ad aggiudicarsi il podio. Al contrario, spesso recede e soccombe, soggiacendo al dramma interiore.
Tuttavia, negli scampoli della ragione persiste una indomita ed antica forza. Negli scampoli di lucidità lumeggia, saetta, la consapevolezza di sé e delle proprie azioni.
Con tali modalità, autorizzarci all’esercizio di una “morale provvisoria”, disporci all’idea di autoassolverci poiché “il fatto non sussiste” costituisce una opportuna re-azione a quel subdolo “processo” che induce taluni ad ipernutrire, nel mefitico e sensibile antro della colpa, il sotterfugio dell’auto-afflizione.
Così, dall’ insussistenza può avvenire il miracolo: l’ assistenza di un ragionamento, ancorché estemporaneo e “provvisorio”, da cui trarre utilità, da cui derivare un’ebbrezza rappacificante, una ritrovata impensabile leggerezza.
Massimiliano Barbin Bertorelli