Su talento & merito persiste una narrazione pubblica fraudolenta, ingannevole.
Non a caso, é sempre il momento per sollecitare l’ottimismo giovanile, ricordando quanto impegno & merito siano riconosciuti e ricompensati dal mondo adulto.
Fatto sta che i titoli risultanti da talento & merito, che caratterizzano un curriculum di vaglia, stentano a tradursi nella realtà lavorativa come fattori di esaudimento delle aspettative.
Sia come sia, lasciando a ciascuno le proprie ferree convinzioni e il rispettivo grado di adescamento, la realtà tende tuttavia ad esprimere dati tendenziali differenti, quali la ricompensa-zero a fronte dell’ impegno e il disconoscimento del talento e delle capacità individuali: a meno che le circostanze individuali intercettino l’ orbita dell’ amichettismo, quella tradizione nepotistica che tende a riconoscere il talentocome fattore ereditario e il merito come requisito d’appartenenza.
In soldoni, la retorica tipica della meritocrazia (termine coniato da Michael Young nel 1958) è una longeva bufala che alligna in un sistema fintamente selettivo. E che per questo produce una moltitudine di veri talenti illusi & meriti disillusi.
La questione può ben afferire alla media prassi assunzionale, in cui il candidato pre-scelto, sempre talentuoso & meritevole, è guarda caso quello in possesso anche di adeguati contatti sociali.
D’altronde, per soppesare l’incidenza dell’ amichettismo é sufficiente scorrere icognomi di un organigramma aziendale e divertirsi a riscontrare taluni gradi di relazione & assonanze.
Per sistemica coerenza, questa demerito-crazia riguarda e ricomprende, mediamente, anche gli addentellati funzionali al sistema.
Resta il fatto che un tal gnommero di in-capaci & de-meritevoli impedisce, ad unasana e legittima ambizione lavorativa anonima, di trovare sufficiente spazio di esaudimento.
Riepilogando, o si ha la fortuna di incontrare un talent scout di buon cuore o si deve ripiegare sulla filosofia spicciola del “parti deluso, fai prima”. Massimiliano Barbin Bertorelli