E’ consuetudine intendere l’ “istituzione scuola” come il luogo tipico da cui, ai vari livelli di approfondimento, apprendere ed attingere cultura.
Tralasciando, per prudente comodità, i concetti didattici avanguardisti alla Ivan Illich, in effetti la fase scolastica identifica, in misura dell’età anagrafica, l’unica fase in cui l’individuo è orientato a considerare meritevole e utile, anzi essenziale, il supporto e l’apporto altrui, al fine del proprio sviluppo cognitivo.
Senza addentrarci in ambiti foschi, non vi è dubbio che, per l’uomo, la scuola sia il luogo ideale ed obbligato ove trarre frutto da quella volitiva umiltà, quale metodo agevolato di apprendimento, gentilmente concessa alla puerizia e difficilmente replicabile nell’adulto.
Trascorso tale fase, più o meno lunga a seconda del personale percorso, e trascorse le età ad esso corroboranti, l’individuo tende mediamente a serrare ogni boccaporto, a rendersi impermeabile a qualsivoglia esterna alimentazione, a sigillarsi dall’eventualità di un altrui contributo.
Per dirla in altro modo, trascorso la fase osmotica, l’individuo si trincera nel presupposto di possedere gli strumenti culturali per supportare la propria carriera ed affrontare ogni tipo di questione.
La successiva fase autodidatta impone di fatto un arroccamento, invalicabile ed inespugnabile, rigorosamente auto-alimentato, come uno stagno senza l’apporto di nuovi affluenti.
Salvo eccezioni, l’idea di conoscenza così acquisita smarrisce via via quel calibro che solo l’ormai defunta aspirazione al dialogo consolida.
L’autarchia referenziale dell’adulto risulta un metodo fallimentare, da questo punto di vista: giacché, per un verso, allontana l’idea che l’esterno possa, in ogni momento, agevolare l’esercizio permanente dell’apprendimento (la teoria del lifelong learning), per l’altro, comprime forzatamente la “fase didattica” tra gli sterili confini di una regola competitiva.
La spontaneità dell’adolescenza si infrange in un atteggiamento borioso e saputo, che ci conduce, tra l’altro, alla sminuizione del ruolo completivo di comunità.
Massimiliano Barbin Bertorelli