Ogni azione umana disinteressata, in quanto tale, esclude l’attesa del riconoscimento & della riconoscenza altrui.
Talché, per un verso, traducendo liberamente Sant’Agostino, “ogni atto di bene fatto senza convinzione non è un atto di bene”. Per altro verso, è anche vero che tale riconoscenza, espressa come sincera manifestazione di gratitudine, è una reazione che l’individuo destinatario non solo accetta con favore, ma sotto sotto pretende.
D’altronde, in quanto connessa al naturale principio di causa-effetto, la pretesa non è illogica, né deplorevole.
Pertanto, un’azione generosa, dichiarativa nella sua innestata tensione altruistica, non è abominevole contrappuntarla con una adeguata e spontanea aspettativa.
Si intende qui stabilire una conciliazione tra comportamenti, con la funzione di alimentare e sostenere, quando sono presenti e animati da entusiasmo, certe dinamiche relazionali; viceversa, quando sono assenti e disanimati, con la funzione di produrre un raffreddamento rispetto alla temperatura affettiva iniziale.
Sostengo, in sintesi, che l’essere umano manifesta con evidenza, in ogni sua azione, un disperante desiderio di riconoscibilità e di valorizzazione. Esprime, nell’agire, una tal brama di valere, da corrispondere al glorioso imperativo “voglio essere elogiato”, citando Cioran.
Analogamente si esprime il politologo Francis Fukuyama in un recente editoriale ne IlSole24ore, laddove sostiene un’ esigenza di riconoscimento da parte degli altri prevalente sulle esigenze di natura squisitamente economica.
E’ interessante notare, a latere, che il desiderio di suscitare gratificazione ed elogi pare insistere anche quando l’individuo se ne considera immeritevole, un “impostore” (dal latino imponere, far credere): quindi, estensivamente, anche quando dubita egli stesso, sotto sotto, della effettiva sincera bontà delle proprie azioni, ne attende comunque considerazione.
Per paradosso, si può assistere al mash-up di entrambe queste componenti: la percezione della propria impostura combinata alla realtà del talento nell’ottenere riconoscimenti: una commistione tanto ambigua quanto auto-affermativa, tanto più in una società notoriamente furbesca.
Pertanto, visto che il proprio valere si può misurare anche mediante parametri anomali ed alternativi e che, talvolta, “l’umana gratitudine si manifesta non comprendendo i propri benefattori” (cit. Nietzsche), ne consegue anche una autosufficienza celebrativa.
In conclusione, nell’eventuale quotidiano perseguimento in tema di riconoscimenti & riconoscenza, dobbiamo considerare anche la quota di falsità che interviene nella fase dell’elargizione: essenziale per assecondare questo umano bisogno.
Massimiliano Barbin Bertorelli