E’ nonsense pensare, anche se ne insiste il costume, che un individuo possa consapevolmente estraniarsi dalla propria comunità, considerarsi un elemento disgiunto, separato, a sé stante, ultroneo al contesto.
E che questo individuo, per il perseguimento del proprio stimato bene, malgrado ogni altra evidenza, possa prevedere una rabberciata idea di autosufficienza come esercizio stilistico giornaliero.
Pur tuttavia, dall’affermazione “se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze” (cosiddetto Teorema di Thomas), si può trasporre estensivamente, in tale malriposta idea di sufficienza, la conseguenza che “ogni personale immaginazione della realtà produce effetti personali reali”.
In linea con l’assunto, quindi, il pensiero produce conseguenze fisiche: tanto sull’individuo, non meno sulle sue relazioni. Per analogia, la propensione nel pensiero di escludere gli altri dalla propria esistenza induce il cronicizzarsi di comportamenti anti-relazionali.
E poiché sarebbe opportuno, in coerenza al Teorema citato, che ogni tanto talune considerazioni teoriche sortissero qualche effetto pratico, si auspica che tale istanza sociale auto-lesionista trovi un margine di auto-correzione, deviando, se non invertendo, la rotta al più presto.
A tal fine, si delinei al più presto un’idea alternativa, un “pensiero laterale” (cit. E. Del Bono), che si ispiri ad un confronto inter-testuale con le varie istanze e che porti a tradurre l’individuo come un valoroso sotto-elemento in funzione di un valoroso insieme.
Ad esempio, si corrisponda alla circostanza per cui, quando leggiamo un libro, vi troviamo note a piè di pagina che rimandano ad altri testi, ad altre idee.
Sarà un bel nuovo giorno quando ragioneremo “come se di tanti libri, a conti fatti, se ne costituisse uno unico, con infinite pagine” (cit. J.L. Borges). E quando capiremo che “accanto, se non diventa insieme, diventa contro” (cit. M. Buber). Massimiliano Barbin Bertorelli