E’ un bel dire che “quello che non uccide, fortifica”, annotando una proposizione di Nietzsche: luogo comune che basa l’educazione su un criterio ultra-selettivo.
La ferrea logica che lo sottoscrive poteva forse essere accolta e collaudata nel passato, quando l’esistenza contemplava e perseguiva un indirizzo realmente energico, fisicamente bellicoso: certamente meno prudente e forse più in linea con il calibro originario della vita umana.
Nella parossistica afflizione del tempus fugit, l’odierno stile di esistenza, estenuato nel nostro gracile esibirci, insorge in una moltitudine di dubbi irrisolti ed irrisolvibili.
In tale direzione, il “memento mori”, magistralmente parodiato nel film “Non ci resta che piangere” con Troisi e Benigni, veniva inteso diversamente dall’ attuale pervasivo stato d’angoscia. Non a caso, nel passato, l’effige rammentava ai commensali l’esaltazione di un eterno presente: lo “sferzante uragano della vita”, scomodando William Blake.
Oggidì, il fisiologico connubio emotivo si celebra in tutt’altra misura, informato ad un “technostress” che, anche in termini prettamente fisici, accelera l’andatura, ponendosi come tentativo distraente da una generalizzata ed iper-civilizzata demoralizzazione.
Probabilmente, l’originaria umana potenza è stata narcotizzata da questa tragica sensazione del trascorrere del tempo, la cui immagine può essere esaltata nell’implacabile esattore de “Il settimo sigillo” di Bergman.
Pertanto, anche ipotizzando l’in-esistenza di concreti motivi di angoscia, salvo implicarli alla natura stessa dell’esistenza, l’uomo protende verso una ansiogena preconizzazione degli eventi e verso l’idea di un loro necessario monitoraggio e costante controllo.
Oramai, è assente dalla scena una volontà superomista: a patto di non con-fonderla e compensarla con quella dell’ uomo farfalla, usualmente imbellettato, iper-ginnico ed iper-tatuato.
E’ largamente diffuso tal decadente “nar-cinismo” (cit. Colette Soler), ibridazione di narcisismo e cinismo, dove interesse rigorosamente personale ed impermanenti ideali costituiscono accanimento dell’esistenza quotidiana.
Sia come sia, il dato consapevole per cui “il palcoscenico è troppo grande per la rappresentazione in corso”, citando Feynman, ci pone innanzi la nostra minuscola e gracile realtà: che tali rabberciati ideali rendono ancor più minuscola ed insignificante.
Massimiliano Barbin Bertorelli