L’epopea mediatica che stiamo vivendo, complice quella esorbitante crossmedialità (citando McLuhan), cui è in gran parte avviluppato il nostro universo conoscitivo, consente di riattualizzare, anche all’uso consumistico contemporaneo, personaggi storici ormai estranei alla memoria collettiva e individuale. E oramai distanti, in-attesi ed in-esplorati, dalle generazioni successive.
A tal proposito, si ap-prende – in un interessante articolo a firma Yurii Colombo ne Il Manifesto – di una recente produzione moscovita che ha inteso programmare la realizzazione di una serie televisiva su Trotsky (co-protagonista della Russia socialista rivoluzionaria e post-rivoluzionaria, avversato ed eliminato da Stalin), la cui proiezione si rivolge al vastissimo pubblico sovietico, principalmente a quello di giovane età.
In questa fattispecie, l’ormai nota frase “il medium è il messaggio”, ri-citando McLuhan, può forse assumere, e riassumere, una sua precisa connotazione ed una concreta applicabilità.
Così, un co-protagonista di un evento rivoluzionario epocale, a fronte di tale modalità, può assurgere al ruolo di “icona”, ipotizzandone persino la commercializzazione di gadget e t-shirt (similmente al Che ed alla Monroe).
Pur con le ingenite, inevitabili polemiche che doveva riscuotere in Patria, e con la nostrana attuale incuranza della Storia, tale iniziativa è stata accompagnata da una capillare campagna nazionale di merchandising, sostenuta (ovviamente) dall’egida putiniana. Ciò sottoposto ad una lettura critica da cui non può esentarsi, come in ogni forma di umana interpretazione delle vicende, una visione relativistica della storia e della politica.
Come che sia, gli strumenti internettiani tendono ad imprimere un effetto dromo-maniacale alle dinamiche collettive, attualizzando, a piacimento, anche passate ideologie trans-generazionali.
In punta di coerenza, accanto ad eponimi inossidabili dal tempo e ad icone abbondantemente sovra o sotto-stimate, questa volta può essere il momento della ri-scoperta del modello Trotsky. Quantomeno, nell’auspicio che l’azione pervicace ed il tragico esito, che tale riscoperta esprime, possano costituire un’ idea di coscienza del progresso collettivo.
D’altronde, non sarà certo la prima volta, né l’ultima, che una serie tv, in virtù della sua componente mitopoietica, recupera la memoria storica di un individuo e lo fa assurgere a nuova e più fruttuosa gloria.
Per tale via, così come oggidì si può creare a tavolino un mito per la folla plaudente, con molta più ragione lo si può di chi ha fattualmente contribuito a fare, e ad essere se stesso, Storia.
Massimiliano Barbin Bertorelli