In relazione al concetto di “sacrificio” insiste, a livello individuale, una tal differente indole da rendere una stessa condizione per alcuni gradita, per altri insopportabile.
Per questo motivo, si può assistere, da un lato, ad un incondizionato, costante e dedicato impegno nell’assolvimento degli adempimenti lavorativi ed affettivi; dall’altro, ad un implacabile senso di irrequietezza e di fastidio, nella misura in cui in intervengono massicciamente nel processo una quota di libero arbitrio e di “facoltà anarchica” della mente (cit. Kant).
In seguito a tali circostanze, ne consegue che gli obblighi cui ci sottoponiamo quotidianamente possono assumere, vuoi la veste claustrofobica del sacrificio (dal latino, rendere sacro) e della percezione della rinuncia di sé; vuoi la forma di una consapevole e motivata dedizione, sintesi di un raggiunto equilibrio tra realtà, volontà, doveri.
Condensando vertiginosamente la trattazione, l’aspetto si compone di due opponibili categorie, sacrificio & dedizione, facce della stessa moneta (o della stessa medaglia, se credete nei premi e nel merito).
L’uomo (più ancora la donna) diviene, così, suo malgrado, il magistrale protagonista, e nel contempo la vittima di tale monistica rappresentazione, soggiacendo, talvolta, ad una dualità di stati d’animo: come se scontasse “un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove” (cit. M.Yourcenar).
L’evenienza non ci lasci increduli. Tutt’al più speranzosi nel nostro imminente turno di felicità; intimoriti, fors’anche, da un’ idea di realtà a tratti illudente e con poche possibilità di scarto, come riecheggia musicalmente nella ”differenza tra bufalo e locomotiva” in Francesco De Gregori.
Un itinerario tortuoso attraverso una “narrazione familiare” nella quale le costanti azioni di supporto alle altrui esigenze possono preludere ad precorse personali mancanze.
Tuttavia, non preoccupiamoci troppo se la sorte pare distrarci e rendere meno allettante percorso & meta; né troppo rilassiamoci se essi paiono armonicamente coincidere con la buona sorte.
Manteniamo il giusto grado di pressione sul timone, poiché, tra mille allettanti previsti ed altrettanti imprevisti, l’avanzamento a vista esige presenza ed attenzione. Altrimenti, come già accaduto nel Titanic, rischiamo di colare a picco.
Massimiliano Barbin Bertorelli