Quanto l’ambito europeo possa incidere sul singolo ambito nazionale è un dato convenzionalmente percepito. E non sempre utilmente, nella misura in cui tende a rappresentarsi come un fenomeno estraneo ed estraniante.
Questa è la sarcastica premessa di una trattazione che include in sé l’aspetto controverso di tal ingerenza, ma anche l’ausilio che tale sovraordinazione può apportare nei rapporti di diritto tra categorie di cittadini.
Un esempio di tale ausilio è offerto da un focus della rivista web “Il Regno”, dal titolo “La sentenza europea e il moralmente legittimo” a firma Cristiana Cianitto (Università degli Studi di Milano), avente come oggetto una iniziativa pubblicitaria nello Stato lituano.
In estrema sintesi, si narra di una ditta di abbigliamento che, pubblicizzando una propria linea, ha proposto come immagini-testimonial Gesù Cristo & Maria, attrezzandoli di tutto punto, con tanto di jeans, corpi tatuati e divina aureola.
La questione ha indignato una quota di cittadini che, attraverso appello ai vari gradi di giudizio, ne ha ottenuto ragione. L’azienda in parola, stabilitane in sede nazionale la mancanza, è stata oggetto di una sanzione pecuniaria.
Quando, però, in via successiva, anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo è stata chiamata ad esprimersi a riguardo, la sentenza ha ribaltato l’esito della causa, dando ultima ragione all’azienda ricorrente.
Evitando, per ovvi motivi di personale incompetenza, la stretta disamina degli elementi giuridici, si rappresenterebbe, per altro verso, un diritto di libertà religiosa del singolo ancillare alla libera circolazione di idee: riscontrando nella lamentela civica iniziale un proprio limite di estensibilità rispetto al concetto di “morale pubblica” e non riscontrando una propedeutica consultazione statale alle altre confessioni radicate sul territorio.
Integrando col fatto che le modalità espressive adottate nella ricorsa pubblicità non implicavano, a detta della Corte, potenziale offensivo, lo Stato lituano ha subitamente modificato la propria legislazione di settore, intendendo rafforzare normativamente il “rispetto del sentimento religioso delle comunità religiose registrate in Lituania”.
La vicenda può far riflettere, senza alcuna pretesa di esaustività, sulla percezione dello “scardinamento” che la giurisdizione europea può operare sul quadro normativo nazionale. Talché, nella dialettica liceità-legittimità di una Società globalizzata, possono insinuarsi regole “superiori” (per licenza poetica), laddove la loro introdotta osservanza qualifica una libertà di espressione che parrebbe far prevalere su tutto, quantomeno su tanto, le esigenze di “mercato”.
Massimiliano Barbin Bertorelli