E’ incommensurabile il numero di fandonie che l’essere umano riesce a raccontare a se stesso, di se stesso.
Ed ha parimenti dell’incredibile l’ampio scarto esistente tra la percezione della propria realtà ed il vissuto quotidiano condiviso.
In tal senso, premettendo la considerazione di Calvino sul fatto che “i ricordi che abbiamo gli uni degli altri non coincidono”, tuttavia l’idea che nell’ individuo (etimologicamente, non diviso) possa coesistere una duplice opposta versione del suo stesso pensarsi ha un che di paradossale, che tende a declinare in una condizione mentale confusa e mutevole.
Sull’argomento dell’ “auto-inganno” tanto si è scritto, anche in ordine alla “esigenza” psicologica che pare manifestarne l’uomo.
Ed è anche vero che la consapevolezza di sé e della propria condizione resta una utopia per la stragrande parte degli esseri umani, escludendo (forse) gli antichi anacoreti, da Simeone lo stilita a Diogene il cinico, ed i santoni orientali.
Tuttavia, nel dialogare episodico dei giorni presenti, ancorché in un contesto non sempre facilitante, ritroviamo un’ampia casistica di contraddizioni, più o meno fobiche.
Per portare un esempio, non è infatti difficile notare quanti critichino aspramente l’agire di un familiare e, malgrado ciò, lo riproducano in prima persona, inconsapevolmente.
E’ umano soggiacere a tali forze centri-fughe, che sospingono fuori dal baricentro, verso un io-sociale tendenzialmente in mano agli altri.
Nelle favorevoli determinazioni che ogni aspetto ha in sé, anche il fenomeno dell’auto-inganno prevede una sua funzione organica, un utile ausilio per costituire della realtà un’idea “accomodata” (come lo stoccafisso nella ricetta ligure).
Purchessia, raccontiamoci pure, a turno, una costellazione di fandonie, non disdegnando di considerarle sacrosante verità e di riscuoterne un fermo convincimento.
Trattasi, il più delle volte, di mezze fandonie e, quindi, di mezze verità. D’altronde, essere fallacemente convinti di una cosa per metà, se anche costituisse reato, sarebbe pur sempre un mezzo reato.
Pur tuttavia, utilizzando la metafora di chi percorre la distanza da un punto A ad un punto B, certo sviamento della percezione e del collegamento invera il pensiero di Flaiano per cui, nei nostrani rapporti, non è la retta “la linea più breve tra 2 punti”, bensì “l’arabesco”.
Massimiliano Barbin Bertorelli