Tendenzialmente, l’individuo confeziona per la propria esistenza una quota consistente di vestiti ambiziosi.
Con tale premessa, voglio significare che, sebbene l’ambizione sia una condizione sana & legittima che connota l’animo umano, non vi è dubbio che il fatto assuma, in talune circostanze, un tono ipertrofico e compulsivo, per non dire esorbitante.
Ciò dispone una modalità di esistenza orientata ben oltre i confini di una dinamica saggia: al contrario, in un’orbita insana e stolta, stante gli effetti prodotti da una irriducibile e compensativa brama.
Non è raro infatti poter correlare all’iper-ambizione, un’afflizione da insuccesso latente, oltreché una velleità icariana: condizioni che, se dapprima elevano oltre misura l’idoleggiamento di sé, tendono poi a precipitarlo verso il basso: magari nell’indifferenza altrui, come nel dipinto di Brueghel il Vecchio quando raffigura Icaro in volo cadente.
In soldoni, trattasi, tra l’altro, dell’indifferenza che gli individui si dedicano a vicenda, affaccendati nei propri viscerali spasmi quotidiani.
Per arrivare al dunque, l’ usuale concezione dell’ ambizione, logica premessa al successo, non pare prevedere una corrispondenza con un effettivo benessere, inteso come continuativo stato di buon umore. Essa viene intesa unicamente come mezzo per raggiungere ed esponenzializzare l’agiatezza economica.
Alla fin fine, non vengono tenute in debito conto le esigenze originarie ed intrinseche dell’essere umano, quelle che argomentava Freud affermando la “felicità come soddisfazione ritardata di un desiderio prestorico”, legato quindi all’infanzia.
Nella venerazione per il dominio, come venerazione della cenere di una fiamma spenta, ri-echeggia la cieca ed esorbitante “brama di avere, valere, potere”, citando Paul Ricoer.
Tuttavia, stacciando a dovere le dinamiche multiple che peregrinano nell’esistenza di tutti i giorni, tra il ponderoso scarto desiderante che ne consegue, la ricetta in parola pare contenere in basso dosaggio l’ingrediente letterale del benessere.
Cosicché, coloro che assegnano all’ambizione smodata l’ atout per il successo, con la conseguente ostentazione di potere-uguale-felicità, tracciano inconsapevolmente un percorso densamente intriso di malessere.
In ogni esposizione sociale di agiatezza non si può fare a meno di notare elementi che, in qualche modo, contraddicono la regola del buon umore quotidiano, malgrado ogni sviamento da luogo comune.
L’ iper-dotazione concentrata di beni materiali prescrive, come una ricetta medica, oltreché la preservazione, l’accumulo e l’implementazione. Analogamente, la vetrina simbolica del consenso sociale trova, nella episodica delizia, la propria croce.
L’ambizione, come l’esistenza stessa, può trovare una mediazione, tra croce & delizia, nell’equilibrio dei componenti.
In buona sostanza, per capirne l’illusorietà rimando alla lettura fumettistica delle preoccupate traversie di Paperon De Paperoni. Massimiliano Barbin Bertorelli