E’ in qualche modo doverosa l’idea di ricomprendere ed includere nell’ambito dell’Arte contemporanea i “graffiti” che ornano (od imbrattano, a seconda del gusto personale e dell’ opera realizzata) i muri delle nostre città.
Ad onor del vero, infatti, il fenomeno è oramai divenuto tanto diffuso quanto degno di notazione culturale.
A tal proposito, traggo spunto da un recente ed interessante articolo pubblicato nell’inserto AliasD de “Il Manifesto”, a firma Davide Racca, nel quale si riassumono alcune considerazioni sulla “Street Art”, quale forma “artistica” di ribellione agli imposti modelli della Società.
Quale sostanzializzazione grafica di una reazione ad una realtà contemporanea che, de-strutturandosi di giorno in giorno e distanziandosi sempre più dalle più intime esigenze dell’individuo, deturpa, ben più di certi graffiti sui muri, la qualità di una aggiogata esistenza urbana.
In merito, una mostra del 2016 su Bansky, soprannome di un anonimo esponente inglese di tale Arte murale, ha contribuito a dare riscontro e respiro alla tematica, proponendone opere e messaggi, portandola a fattor comune quale contrapposizione ad ogni azione violenta e di prevaricazione dell’uomo sull’uomo, tipica purtroppo di una indòmita e trionfante istanza isterico-capitalistica.
Le opere di Bansky bene identificano un modo di tradurre tali istanze contemporanee in forma megalografica. Così, da un lato, gli ordinari murales col loro gergo criptico e, dall’altro, le opere di Bansky, manifestano entrambi simbolicamente, ciascuno a proprio modo, il disagio ed il degrado morale e materiale, cui questa espressione d’Arte non intende sottomettersi, anzi emanciparsi dalla mera rappresentazione e riproduzione di sé come mero estetismo grafico.
Esprimere il valore sociale delle emozioni, dei sentimenti che affiorano imponenti, è obiettivo di un’arte che ne riassume il concetto, utilizzando il gergo di una moltitudine ad oggi non sufficientemente collocata, né rappresentata.
Massimiliano Barbin Bertorelli