In controspinta a malsani ed implacabili dettami consumistici, il senso di caducità della vita viene spesso tirato scaramanticamente in ballo nell’opinare quotidiano: non tanto in termini astratti, filosofici, quanto nella fattualità delle singole circostanze.
Ad esso vengono rivolti accorati appelli e caute ammissioni, principalmente quando un fatto drammatico ci coinvolge, insinuandosi dolente nella nostra conchiusa monologante esistenza.
In tali circostanze, le arcane tematiche sul vero senso dell’esistenza umana, effimera e fugace, aleggiano con prepotenza, signoreggiano.
Certamente, gli accadimenti, gli eventi tragici, instillano quella comune paura che è classificata e sottolineata come forza unificatrice della Società, da Maksim Gorkij in “Storia di un uomo inutile”.
Riecheggia subliminale nei versi: “chi non terrorizza si ammala di terrore” e “senza la mia paura mi fido poco”, tratti da un paio di canzoni di De André.
Nondimeno, nel modus contemporaneo anche il più audace ed ostinato sostenitore della “caducità”, inesausto approccio nichilista, non può totalmente sottrarsi alla compulsiva percezione econometrica, ad una umanità istanziata e cadenzata dal furor consumistico.
In tal senso, la Società irretisce l’individuo. Ne plagia, ne dismette la ragione, laddove in determinate condizioni, la mente dovrebbe invece spaziare e librarsi in intrepide e libere riflessioni.
In talune particolari e gravose circostanze, la brama di dominio viene comodamente sopraffatta dal senso di caducità, malgrado quest’ultimo venga prontamente respinto al mittente non appena paiono recuperarsi e ripresentarsi circostanze personali più vantaggiose e favorevoli.
Non vi è dubbio che la conseguenza del trascurare il proprio sé è un suo fuggirlo. Una prevenzione possibile é metterci in condizione di inseguire noi stessi, mai esaurita la speranza di raggiungerci.
Considerando, in sintesi conclusiva, che la “speranza” è un “rischio che val sempre la pena correre”.
Massimiliano Barbin Bertorelli