Persiste l’idea che riportarci ad una condizione “pre”-cedente, pre-linguistica, pre-dialettica, pre-storica, possa corrispondere, teoricamente, ad un recupero della libertà perduta con l’evoluzione sociale.
In base a tale ipotesi, la condizione protogenia pare comodamente corrispondere a quella in cui l’uomo, animale allo stato brado, abbia saputo aderire perfettamente ad un’esistenza che implicava una sinergia tra istinto & gruppo.
In verità, l’uomo iper-urbano ha tragicamente e progressivamente compresso tale corpus del proprio esserci entro il confine costituitosi a seguito di estranee inclinazioni. Ora, tutto ciò che egli riesce ad esprimere, sotto tale ambito non dissimilmente dall’arcaico passato, resta inquadernato tra codici & regole.
La questione pare esaudire il fatto che, entro un originario confine di per se stesso r-accogliente, l’individuo pareva condividere con gli altri componenti il proprio agire in funzione di un preciso e condiviso ruolo, punto costitutivo della comunità. Una comunità di cui, per questo, non si pativa né incombenza, né condizionamento, né esclusione, né isolamento.
Ciò ad intendere che, per inesaustivo esempio, se gli odierni (inessenziali) adempimenti cui siamo “soggetti”, quindi sotto-posti, paiono sottrarci tempo prezioso, è perché li percepiamo distanti, estranei, disarmonici.
In estrema sintesi, in tale dimidiata condizione, che assiste ad un sempre più complesso rapporto tra una visione concava ed una convessa, tra una introflessa ed una estroflessa, la diretta conseguenza per l’uomo è subirne la dirompenza.
Senz’altri indugi, si può ragionevolmente ammettere che, almeno sotto l’aspetto rimarcato, l’ arretramento dal dato presente (evitando di interpretare il termine solo in senso vettoriale) possa anche interpretarsi come strategia di sopravvivenza dinanzi ad un’idea di libertà solo teorizzata.
Massimiliano Barbin Bertorelli