Il Nano Morgante. In alternativa alla mistericità con cui avvolge e occulta la propria dimensione privata, l’individuo contemporaneo si dedica ad auto-celebrare la propria dimensione pubblica.
In tale vetrina espositiva egli impegna parte consistente delle personali risorse (economiche e psichiche) forte dell’intento di fondare i rapporti interpersonali sul riconoscimento dell’esito glorioso della propria esistenza, riassumibile in poche parole come “una somma di pretese riuscite astuzie” (cit. E. Canetti).
Sotto tale aspetto, sempre commisto e subordinato a personalistiche finalità, è quotidianamente osservabile un comportamento strumentale, utile al soddisfacimento dei vari impellenti bisogni.
In questo modo, non tarda a radicarsi un ethos personalizzato, un comportamento abitudinario che separa con rigore sagittale la dimensione privata dalla pubblica, prevalendo quest’ultima nella coniugazione estetica del verbo “mi si vede, dunque esisto” (cit. JP Sartre).
Di fatto, le circostanze decidono di volta in volta quando rintanarsi nella propria secretata domesticità e quando al contrario gettarsi tra le braccia di un’artefatta socialità.
A ribadire il concetto, le espressioni iconiche dell’identità differiscono in base ai luoghi in cui transitano.
Nondimeno, l’ artificiosità tipica dell’esposizione sociale non esita a manifestare effetti di inquietudine & disagio in combinazione alla misura della performance volta per volta adottata.
Una polarità che può allegramente ricordare il “Dr Jeckill & Mr Hyde” di RL Stevenson, pur nell’odierna versione di una Società sfidante che surrettiziamente impone all’individuo di collocarsi su un piedestallo immaginario per tentare di padroneggiare in qualche modo sugli altri.
Indefinitiva, si tratta delle vecchie e sane tradizioni contadine dell’ abito buono da sfoggiare il giorno di festa e “del ragù da ostentare la domenica”, citando M. Gangemi, trasmigrate in forma nevrotica nella Società dei giorni nostri. Massimiliano Barbin Bertorelli