La considerazione che “gli essere umani sono più simili a miraggi che ad architravi”, anche non fosse mutuata da un’affermazione di uno scienziato del calibro di Hofstadter, risentirebbe e meriterebbe comunque una adeguata riflessione.
Riflessione da compendiare nell’esito di una quotidiana e spontanea osservazione del comportamento dell’ “umanottero” (cit. A Busi), quale dato essenziale di partenza.
In questo senso, l’attendibilità antropologica del fenomeno della parvenza ed, in specie, del vacillamento, è da ammettersi anche solo “per passaparola”, laddove l’effetto è ben visibile fin dalla fase dialogica, fin da un elementare esercizio di interazione sociale.
In buona sostanza, resta valido il riferimento, complessificato da giornaliere fluttuazioni emotive e stilistiche, al detto Zen: “qualunque cosa tu faccia, non oscillare” (non escludendo a tal fine l’uso correttivo del kyosaku, l’apposito bastone educativo).
Stante la premessa, l’apparente graniticità di passo di questo “umanottero” bene esprime il suo stato di allerta. Ed altrettanto bene risponde alle sue precipitose fughe dalla socialità, vista come insidia o perdita di tempo.
A prescindere, la stessa comunicazione, come ogni forma d’espressione linguistica, è immaginabilmente addensata di retrospettive, intrisa di inferenze, innestata di velatezze.
Per tale motivo, intrapresa una determinata direzione, essa non viene usualmente proseguita, se non per brevi tratti, perdendosi nella ricerca di costanti conferme sulla giustezza del singolo passo, in un gravoso alternarsi di certezza e dubbio, di ragione e torto, di soddisfazione e rimorso.
Per l’ “umanottero” (cit.) diviene quindi fisio-logico vacillare dinanzi alla pseudo-verità della sua stessa affermazione. In specie, quando la prima versione viene sconfessata da una possibile alternativa.
E quando quest’ultima, a tale proposito, ri-guadagna la qualità derivante dall’incrinatura della precedente.
Pertanto, seppur “la verità erra incognita tra gli uomini”, citando Pascal (ma anche un recente brano di Vasco Rossi), si riesce ad ottenere un passo ragionevolmente stabile nel momento in cui l’individuo si appropria del valore dell’esperienza, come appiglio solido e solidale.
Massimiliano Barbin Bertorelli