Con più o meno convinta volizione, ciascuno persegue e insegue il proprio traguardo di felicità.
Ogni agire umano risulta significativamente implicato in tale irrinunciabile traguardo, sebbene spesso maldestramente idealizzato. Ne sortisce come l’ aspirazione di un individuo che, alla fin fine, non è “capace di desiderare la cosa giusta per sé” (cit. Soren Kirkegaard).
Ecco apparire all’orizzonte il motivo per cui un proposito di traguardo portato a compimento conduce altrove, ad una realtà insoddisfatta, financo gravosa: proprio a causa di pindarici convincimenti e di presupposti desideranti aleatori.
Ahinoi, in uno stato di fatto in cui incombe il dato statistico secondo cui “anche gli interventi meglio intenzionati possono suscitare effetti deleteri” (cit. Konrad Lorenz), é dunque giustificabile che l’individuo possa precipitare nella confusione e nell’ avvilente impotenza.
Il fatto è che nessun individuo creerebbe a se stesso disagio e danno se solo fosse consapevole delle proprie motivazioni presupposte: in altre parole, della solidità emotiva dei propri desideri.
Dal risaputo dato storico per cui “l’uomo che da sé i propri mali fabbrica” (cit. Omero – 800 aC) fino al Dottor Piramidone (fumetto del 1928) che inventa cose che procurano solo danni, ne sovviene una inarrestabile auto-afflizione che, in versione privata, accoda criticità su criticità, in nome di atti squisitamente volontari.
In specie, la narrazione enuclea tutti quegli incontrovertibili traguardi, i cui effetti dirompono ben oltre la sfera personale, rendendo inaspettatamente inclinato e scivoloso il percorso.
A ribadire il concetto, non è raro che idee creative e supposizioni eterodosse costituiscano e rivelino una sorte alla lunga preferibile rispetto all’invalso fraintendimento sull’idea di fortuna e di prosperità. Non è per nulla raro, infatti, che traguardi irrinunciabili, puntualmente esauditi, lascino sul terreno una scia di sventurati imprevisti. L’idea di terrena prosperità, di felicitas intesa quale “insieme di evitate sfortune” (definizione di Alphonse Karr), circoscrive e assiema un’ umanità tendenzialmente incapace di desiderare e di auto-determinare effetti realmente prosperi.
In definitiva, preso atto del noto proverbiale abbaglio tra lucciole e lanterne, è opportuno vigilare anche sugli abbagli tra ciò che è fortuna e ciò che è sfortuna. Massimiliano Barbin Bertorelli