In forza di un’ aspirazione positivista, la nostra vita e la nostra mente sono invase quotidianamente da una inarrestabile invasione di parole travestite da informazioni.
L’uomo contemporaneo non tenta (e anche volendo non riuscirebbe facilmente) di di-vincolarsi, di sfuggire alla micidiale stretta di questa invisibile armata mediatica che avanza e lo circonda da ogni lato.
Nondimeno, taluni, orchestrando parole ad hoc, hanno costruito imperi, orientati gusti e scelte, inebetite moltitudini. Imperscrutabile sorte, nella misura in cui taluni ne hanno tratto buona sorte, talaltri ne sono rimasti drammaticamente svantaggiati: secondo il principio per il quale, sintetizzando brutalmente, ciò che aggiungiamo ad una parte, automaticamente viene sottratto all’altra.
Per integrazione di principio, possiamo anche introdurre nella mente sovrabbondanti quantità di chiacchiere ed essa le radunerà, seppur confusamente, fino all’inessenzialità.
Questo aspetto potrebbe infatti instillare l’idea che le parole, non occupando alcun spazio fisico e tangibile, possano essere trattenute senza limite di consistenza e senza che il loro accatastamento produca disagio.
E’ evidente che la visibilità e la matericità non sono sempre requisiti essenziali per connotare la presenza fattuale di un qualcosa, anche in una Società marcatamente materialista.
Detto fatto, le parole, nella mutevole forma di un nulla vagante, incidono pesantemente nella singola esistenza. Il destino stesso dell’umanità, in parte, ne é conformato, rendendo in qualche modo pertinente scomodare la citazione biblica attribuita al profeta Isaia: “la parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto”.
Orbene, tra la vasta gamma di elargizioni di parole, tralasciando di considerare un tempo originario pre-verbale, non ci si sottragga mai all’idea e all’ideale di ri-tornare sui propri passi.
In specie, quando ci si riesce ad accorgere che un articolare verboso è senza costrutto o ha natura manipolatoria. Potendo accogliere l’idea, per converso, che la condizione di silenzio del volto (cit. G. Agamben) é la forma di verità più eloquente. Massimiliano Barbin Bertorelli