Il concetto di “teorema” è riconducibile, per consuetudine, ad istanze matematiche. E la pertinente “dimostrazione” d’ogni enunciato é un indimenticabile classico dell’esperienza scolastica.
E’ un concetto che rappresenta, materialmente, l’assolutezza di una soluzione, la sua insindacabile ed unanime validazione.
In base alla premessa, la dimostrazione di un “teorema”, per comune opinare, esprime una oggettività che, non appena compresi gli elementi costituenti, diviene lampante per gli astanti, secondo una dinamica imperfetta ed intuizionale, tipica delle revisioni di testi tra addetti ai lavori.
Nondimeno, in parallelo al didattico e lodevole intento, l’idea di “validare” la bontà di un’ ipotesi può essere trasposta anche al teorema delle qualità individuali (ovviamente presunte).
In effetti l’uomo, avviluppato tra le predatorie spire del doversi magnificare agli “altri”, del manifestarsi con una ipertrofica scorta di “pregi”, si trova spesso ingabbiato in una condizione che occhieggia, da un lato, l’estetica del “mi si vede, quindi esisto” d’ispirazione sartriana; dall’altro, l’immagine di una “divinità comica”, scomodando Pascal.
Trattasi di una considerazione contigua all’enunciazione originaria, nella misura in cui l’ostentazione già compone il costante bisogno di conferme.
Se, quindi, l’ acronimo scolastico CVD (Come Volevasi Di-mostrare) è motivo di intenso lavoro deduttivo, da studente, non meno impegno necessita un ordinario civico CVM (Come Volevasi Mostrare), nella misura in cui ne è ampiamente afflitto l’adulto, in questa Società prestazionale.
“Mostrarsi” diviene quindi priorità ed aspirazione dell’individuo sociale.
Sia come sia, la casistica in argomento non può pro-tendere all’insindacabilità, all’oggettività tipica del “teorema matematico”, cui certa brama personale di consenso, seppur vanamente, vorrebbe riferirsi.
Occorre spendere qualche riflessione su tale esposizione da vetrina, su tale compulsione di-mostrativa: non secondario, a tal fine, é collocarsi nella condizione per cui “dal punto di vista dello sviluppo psicologico e neurocognitivo “io” è l’ultima persona” (cit. Eugen Rosenstock-Huessy).
In conclusione, si moduli una saggia interpolazione affinché questo “io” non lo si invochi come teorema personale, sul modello stirneriano. Onde evitare l’assurdità di rappresentarsi come l’unica persona di cui tener conto.
Massimiliano Barbin Bertorelli