Basandoci sul dato meramente antropologico, si potrebbe ritenere che il senso di smarrimento, di solitudine, di angoscia sia una condizione stabile, inaggirabile, perfettamente aderente alla natura umana.
Non a caso il mondo dell’oggidì, quello dell’Antropocéne, nonostante un progresso inarrestabile e produttore di agi, è un mondo visibilmente angosciato.
Per paradossale che possa sembrare, l’animale pensante, il fragilissimo essere umano, è riuscito in qualche modo a collocarsi in posizione di vertice evolutivo rispetto alle altre specie viventi più forti e adattive.
Vale rimarcare l’ illogicità della condizione, laddove si potrebbe facilmente pensare che la specie umana non saprebbe più ri-affrontare, né ri-emergere con analogo successo dalle circostanze passate qualora si ri-presentassero pari pari.
In via generale, ciò trasduce il fatto che non pochi traguardi evolutivi potrebbero essere stati superati solo per misterica casualità, a sostegno della fatalista considerazione dell’antropologo Stephen Jay Gould: “se il gioco dell’evoluzione potesse ripartire da capo, la specie umana potrebbe restarne sopraffatta”.
Tale suggestione trova conferma nell’evidente regresso in cui attualmente staziona l’umanità incivilita e nella sua predilezione per modelli esistentivi calamitosi e ansiogeni.
A livello singolo, la caratura dell’ essere umano si pone diametralmente opposta alla sua pretesa immagine di dominus: un individuo subalterno alle fluttuazioni economiche del mercato, in perenne stato d’allerta; un individuo insoddisfatto che, avendo totalmente smarrito l’aderenza alla propria natura, rivendica per sé mete insoddisfacenti.
Per ribadire il concetto, il traguardo contemporaneo vede quest’individuo come principale produttore delle proprie afflizioni.
Per tradurre in sintesi, “la Natura, permettendo l’uomo, ha commesso un errore di calcolo, un attentato contro se stessa”, citando E.Cioran. Massimiliano Barbin Bertorelli