Entrando a gamba tesa sulla qualità dell’esistenza individuale, in essa incombe il fallimento quando l’essere umano, messa in angolo la componente sentimentale (ivi compresa l’accezione amicale), rivolge attenzione verso ideali precipuamente materiali, competitivi ed utilitaristici.
Una situazione ricorrente e coerente al trend, per cui il “successo”, antinomia del “fallimento”, pare sostanzialmente puntare su beni fungibili. E rifarsi al dispotico simbolismo che lega a doppio filo l’individuo sociale a bisogni ultronei ed egotistici.
Ecco la rappresentazione dell’uomo-consumatore contemporaneo: perennemente in stato di tensione, avvoltolato tra le spire di una realtà condenda, artificiosa, insoddisfatta e predatoria.
La drammatica premessa si può contrappuntare con la considerazione freudiana per cui “la felicità è la soddisfazione ritardata di un desiderio preistorico”: la cui traduzione stabilisce il motivo per cui il tanto-ambito denaro è impossibilitato a tradursi in felicità, poiché non rientra (salvo smentite) tra i desideri dell’infanzia.
Tuttavia, in vista di tale orientamento, anche se intendessimo “i sensi” quali contributori di “valori di verità”, dovremmo quantomeno pre determinarne la loro adeguatezza rispetto al fine ed al contesto di riferimento personale.
In tale latenza, l’uomo tende al fallimento proprio nel suo essere fuori contesto, slogato, clandestino a se stesso, nel suo esimersi orgoglioso dal considerarsi pars-pro-toto, nel suo favorevole accogliere su di sé le asfittiche regole del mercato, nel suo convinto divergere da originari ideali aggregativi.
D’altronde, è facile escludersi da un qualcosa, di cui non si riconosce la mancanza; o quando la mancanza, per forma di difesa, la si riconosce solo negli altri.
In tale sintesi estremizzata è ampiamente leggibile il “fallimento” dell’attuale etica post-sentimentale, quale giudizio irriguardoso, ineluttabile, verso un individuo che pare rivendicare a sé esclusivamente la parte ignobile del proprio pensiero.
Massimiliano Barbin Bertorelli