Ormai conclusa la fase elettorale regionale, ne approfitto per esprimere qualche commento laterale ed accessorio: in specie, sul tipo di comunicazione pubblica che, ai vari livelli, tenta di intercettare l’attenzione (e possibilmente il voto) del cittadino-elettore.
L’habitus di ogni campagna elettorale riferisce la sostanza dei tempi che (non) cambiano: a tal proposito, è sufficiente osservare i manifesti che promozionano i candidati, a prescindere dagli schieramenti di appartenenza.
Tuttavia, visto che la lettura di un testo, tanto più di una immagine, non può sortire unidirezionalità ed univocità di sensazioni, non ci si aspetti che l’effetto che sortisce in un individuo, lo sortisca pari pari in un altro.
Le nostre percezioni risentono, in quota parte, dell’ ideologia (o di ciò che si ritiene tale) e da ogni altro condizionamento psico-sociale. Nondimeno, il grado individuale di competenza personale influisce non poco sulla singola capacità di interpretare e calibrare i messaggi assertivi che contraddistinguono ogni comunicazione mediatico-commerciale.
Senza divagare oltre, in forza del tentativo di ammaliamento dell’elettore con immagini e frasi ispirate, la mia personale percezione non può sentirsi rassicurata. Né, tuttavia, traviata.
A dirla tutta, l’effetto ilare che suscitano certe immagini e certe frasi la farebbe persino da padrone, se non intervenisse quel senso civico che suggerisce di non potersi chiamare fuori dalla politica, poiché essa riguarda, letteralmente, la vita di tutti.
Sia come sia, la promozione visiva esprime una tipologia interessante di candidati: da chi avoca a sé la propria qualificata indispensabilità e protende il dito verso l’elettore similmente al manifesto dello Zio Sam del 1917, a chi si inventa nuovi acronimi del proprio gruppo politico, come tag-line pubblicitarie, per una facile memorizzazione; da chi richiama subliminalmente il valore e lo scompaginamento della famiglia contemporanea monoparentale, a chi sotto sotto propone fuoriuscite patriottiche in stile “brexit”; da chi si pone nel look pragmatista già visto del tipo “rimbocchiamoci le maniche” a chi, ancora, alletta il potenziale votante con espressioni gladiatorie, tipiche di chi non scende a compromessi con nessuno; a chi, infine, si veste di una espressione seduttiva e rassicurante, suscitando di sé l’idea della disponibilità e del pragmatismo.
Insomma, in sintesi conclusiva, questa selva di espressioni già viste conferma un intento riconducibile, in via generale, ad un genere politico funambolo e furbesco, che quando promuove la propria idea di cambiamento, sa bene, con discreto margine di probabilità, che resterà solo un’idea.
Massimiliano Barbin Bertorelli