Trasferirci l’un l’altro, spontaneamente, il sapere, fruire reciprocamente del contenuto di conoscenza personale è un praticabile volontà di crescita collettiva. Tuttavia, impraticata.
L’obiettivo, nella sua ambiziosa centralità, si attarda e deflette in considerazione della convinta implausibilità dell’obiettivo; al contrario, postulatone l’esaudimento, non si tarda ad attribuirgli peculiare significato e a rivendicarne il privilegio.
Il “dimmi come cerchi e ti dirò chi cerchi”, citando Wittgenstein, pare trovare qui una laterale esemplificazione.
Così, tanto l’ osare sapere quanto l’ osare patire, come fase complementare, a vario titolo possono scantonare dalla condizione di minorità in cui boccheggia l’ individuo.
Nonostante l’utilità di procedere all’innesto di una pianta per ottenere nuovi frutti, a rappresentare l’opportunità che l’ascolto di ogni vissuto offre, la cifra della contingenza e la prassi quotidiana lasciano poche speranze, se non in una direzione unipatica, individualista. E altrettanto poche per pensare ad una “de-crescita serena”, scomodando Serge Latouche.
Non si impongono scelte né finalità univoche alla vita umana. Resta il fatto che l’educazione e la cultura del contesto s’impongono e marcano il territorio, analogamente ad una goccia che, giorno dopo giorno, scava la pietra.
Tuttavia, i tempi ci possono suggerire una svolta ideale rispetto all’attuale tracciato intrapreso e all’attuale modus. Una svolta verso una ortoprassi collettiva, verso una produzione di effettivo benessere che si avvalga, come in una pentecontèra (antica imbarcazione fenicia a 50 remi), della strategica preziosa combinazione tra spinta del vento e l’ impegno di ciascun rematore. Massimiliano Barbin Bertorelli