Sovviene l’incidenza del fatto, esito ordinario anche di un semplice dialogo, che il grado di attenzione, la specifica considerazione di un individuo per un altro, si moduli principalmente in base ad un personale bisogno.
Ad esempio, in presenza di uno stato allarmato di necessità emotiva, il tipo di attenzione riservato all’altro parrebbe considerare solo e soltanto l’anelata funzione di “sostegno”.
Con tale presupposto si può insinuare l’altrui presenza: al fine di compensare una propria mancanza: la qual cosa, in termini squisitamente fattuali, coniuga e identifica puntualmente in sé l’assoluta condizione secondo cui “il bisogno d’amore crea l’amore”.
Rasenta l’ovvietà considerare che tale convincimento non permetta, ipso facto, certamente non avvalorato da aperte confessioni, alcun riconoscimento di attendibilità.
Non è neppure indifferente il fatto che un eventuale riconoscimento possa principalmente intervenire sulla base di un rapporto di forza sbilanciato tra due soggetti, quando l’uno riserva all’altro la quota (esorbitante) di valore che giocoforza sottrae a se stesso.
In altri termini, la percezione dell’altro talvolta pone innanzi due vettori di qualità opposti tra loro: uno encomiastico ed esorbitante, al punto da far apparire una lucciola, lanterna; l’altro critico e sminuente, tale da far apparire una lanterna, lucciola.
In funzione di tale bi-valenza, una qualsivoglia razionale considerazione tende a smottare lungo il periglioso crinale seduttivo della personale immaginazione emotiva.
Cosicché, sotto l’influsso del bisogno, particolarmente pervasivo e venefico nell’attuale Società desiderante, il rapporto affettivo si identifica, in modo piuttosto evidente, come sottaciuta richiesta di assistenza, resa dall’immagine di un “ombrello interiore” sotto il quale l’individuo può trovare collocazione.
Da utente, è sano e legittimo non sotto-dimensionare la questione.
Come è anche sano e legittimo dedicarsi a rinvigorire quel processo di empowerment personale per evitare di volare da sé sulla fiamma, come la falena. E per non riproporre certa domestica sofferenza che, seppur giustificabile in termini di passate brutte esperienze, sarebbe a maggior ragione opportuno non replicare con demonica perseveranza.
Massimiliano Barbin Bertorelli