Può un chiarimento tra due individui, quando preteso da una parte sola, condurre alla risoluzione dell’ incomprensione che l’ha generato e alla ricomposizione del rapporto?
Il lapidario quesito è intriso di valenza pratica, poiché se il proprio carattere o l’impronta educativa non hanno la buona sorte di pre-venire tale genere di contrattempo, la questione rischia di inclinare un qualunque rapporto in una quotidiana tenzone chisciottesca in cui la realtà personale é preda di miraggi, vittima di idealistiche auto-rappresentazioni.
Pertanto, se il dialogare, visto come resuscitamento dell’antico metodo maieutico, detiene a tal proposito una quota contributiva di efficacia, l’inseguimento del chiarimento, come volontà di affrontare e dirimere incondivisi concetti o irritanti modalità, già preannuncia il proprio insuccesso, stante la presenza di eloquenti indicatori quali la ricorsività dell’evento e l’ indisponibilità al confronto.
E’ integrativo al tema menzionare Jacob Neusmer quando considera la “sensatezza di dialogare e discutere (solo) quando i soggetti si stimano e si prendono reciprocamente sul serio”.
Preso quindi atto del clima volubile e formale che mediamente regola la comunicazione inter-personale, va messa in dubbio l’idea intrepida, seppur lecita, di ristrutturare relazioni affettive disomogenee, affrontando de visu, volta per volta, originarie (incolmabili) differenze.
Tale è la reazione a-spada-tratta dinanzi a percepite ambiguità, in nome di una volontaria miopia che non permette di vedere quanto le differenze siano strutturate in diretta proporzione alla frequenza del loro manifestarsi.
L’automatica dis-applicazione della regola del “dimmi come cerchi e ti dirò chi cerchi”, scomodando Wittgenstein, e l’appello bisognoso a rapporti affettivi anche rabberciati alla bell’e meglio non possono certamente rin-saldare tra loro parti chimicamente incompatibili.
In tale specifico contesto, l’intento di chiarire, come fase ri-costitutiva del rapporto, incarna il tentativo di-sperante di intravvedere a tutti i costi una reciprocità di punti, una visione in comune, là dove ne esiste solo l’ individua sensazione.
Pur anelando ciascuno ad un ideale status relazionale, insiste in tale protensione la riprova di aver collocato il tempo emotivo fuori delle coordinate del benessere, perseverando in dinamiche più macchinose che dilettose. E sostanzialmente infruttuose.
In generale, nelle evenienze ascritte alla sfera degli affetti, va assegnata una connotazione patemica che ricorda, per provocatoria estensione, l’afflato consolatorio religioso di attesa dell’ ultra-terreno.
Un afflato simile connota quota parte dei chiarimenti disattesi, visto che essi potranno (forse) essere esauditi ed esauriti solo per riconoscimento postumo. Massimiliano Barbin Bertorelli