E’ un fatto spontaneo che l’individuo, in ogni suo comportamento, protenda al proprio benessere, ad uno stato di media felicità. Malgrado ciò, curiosamente, egli non sempre riesce a prodursi un esito coerente al proposito.
Insiste il fatto che, in preda a tale afflato, egli riesca spesso a mancare l’obiettivo, creando, da sé e per sé, condizioni più incresciose di quelle di partenza. Già l’Odissea traccia tale nefando destino, quando narra che “l’uomo a se stesso i mali fabbrica”.
Nessuna anomalia quindi se, dinanzi ad un proprio lamentato stato di “difficoltà” e dinanzi a proprie od altrui prospettazioni di soluzioni alternative (fossero pure risolutive), l’individuo si orienti comunque inesorabilmente nel perpetuare quella stessa liturgia di pensieri ed azioni che ha contribuito a confezionare l’originario vestito della propria genealogia.
Il sintetico preambolo vuole identificare le modalità della produzione, essenzialmente autogena, della quota-quotidiana di “scarto”, in analogia con lo scarto che prevede ogni fase di abburattamento del grano.
In tale direzione, sclerotizzare, perseverare in un proprio comportamento, pur lamentandone di volta in volta i dis-graziati effetti, è una diabolica prassi.
In altre parole, si evince che la contezza dei presupposti degli esiti nocivi potenzialmente prodotti e la possibile considerazione circa l’esistenza di opzioni alternative, non ne comportano l’automatica applicazione, né interrompono questa tossica ciclicità.
Per comodità d’immagine, a simbolo della questione, può essere scomodato l’orobòro, l’antica rappresentazione del serpente che, inseguendo e divorando la propria coda, rincorre se stesso in un infinito cerchio.
Questo, in via approssimata, è l’eternale modo cui si ispira l’essere umano quando intende cautelarsi dal mal-essere, nella misura in cui tal demonica perseveranza di comportamento ne sortisce una costante insorgenza.
Nell’ indubbia irragionevolezza che l’occasione espone, non occorrerebbe tirare in ballo arcani simboli per sottolineare un’indole afflittiva pre-orientata ad auto-determinarsi.
L’esiguo spazio marsupiale in cui la volontà si esplica non può che aspirare, in quanto tale, a scenari limitati: d’altronde, l’aspirazione primaria dell’uomo tende alla lamentazione ex-post.
Alla fin fine, parafrasando Gide, egli pare destinato ad “essere intralciato soprattutto da se stesso”.
Massimiliano Barbin Bertorelli