Non mi suscita alcun interesse frequentare una compagnia irrimediabilmente seriosa. E neppure una compagnia che, a fatica, tra narrazioni di sventure plurime, riesce a strapparmi un sorriso “da una parte sola”, come economizza un proverbio genovese.
L’incipit introduce a certe dinamiche, a certe noiose frequentazioni, nei cui confronti occorrerebbe ancora applicare la regola antropometrica lombrosiana, certa pseudo-scienza che selezionava la fronte bassa indizio di scarsa intelligenza, ad esempio.
A questo punto, fatto un istante di raccoglimento per commemorare la scomparsa di “ironia & buon umore”, riprendo la trattazione contemplando l’urgenza di confezionare un “paradigma indiziario” (cit. Freud), utile a disvelare, e possibilmente a schivare, la sottaciuta dolente natura dell’interlocutore medio.
A tal fine, si punti il dito e si attribuisca il giusto risalto ad informazioni sensoriali solo apparentemente secondarie, al presumere che ogni mutamento d’espressione, ogni deflessione umorale, esprimano indizi caratteriali ben più eloquenti di quelli desumibili dalle parole.
Così, giusto per evitare di sopravvalutare simmetrie di emozioni solo apparenti, esercitiamoci nel decrittare quel “codice segreto” che le parole celano e i gesti svelano.
Sulla base di una quasi estinta ironia, tratto distintivo dell’intelletto, ci si avvii a “separare il grano dal loglio” (cit.) ed a computare, oltre l’orizzonte dell’apparenza, la qualità nei rapporti inter-individuali, scartando di essi la parte eventualmente ammalorata.
Selezionare è fatto logico e naturale, seppur un invalidante progresso tecnologico pare contribuire ad obliare e smantellare i cardini di un genuino principio evoluzionistico che avrebbe dovuto irrobustire, non indebolire, la nostra confusa specie.
Quello stesso principio che, malgrado tutto e tanti, non è riuscito ad intaccare l’umore canterino di mia nonna, mentre disbrigava le faccende domestiche quotidiane. Né il mio costante ricordo di tale quotidiana meraviglia.
Massimiliano Barbin Bertorelli