Nel colloquiare quotidiano, ci si può trovare nelle condizioni di essere impediti, inibiti, da clandestine ed arcane presenze. E di scoprire, forse senza eccessivo stupore, che esse, non solo ci gravitano intorno, ma risiedono in noi.
In tal senso, propongo impunemente una fugace corrispondenza tra detta circostanza ed una possibile rielaborazione del “sono diventato un problema per me stesso”, traducendo Sant’Agostino.
Il più delle volte, si insinua la difficoltà di modulare e calibrare nel dialogo taluni convincimenti. Al punto da renderci sordi agli altri e comporre una scomposta affabulazione, (forse) prodotto di una “rendita di posizione”, del riparo offerto dalla propria “zona protetta”, in cui ogni novità diviene motivo di ansia, impostura.
Auspicabile, ad esposizione del caso in esame, l’idea di intervenire su noi stessi, al fine di adibire la nostra mente più di ragionamenti che non di profezie: a maggior ragione, quando vengono prodotti a peso concetti rabberciati, alla rinfusa.
D’altronde, all’esterno di tale “zona protetta”, un “ascolto” non addomesticato potrebbe forse imbrattare d’imbarazzo e compromettere la sensatezza di una radicata verità.
Volendo trascurare tale evenienza nelle usuali circostanze sociali, dovremmo almeno alternare un colloquiare sentenzioso ad una adeguata capacità di ascolto, senza spingerci oltre confini conosciuti, con la cautela che il buon senso richiede.
Diciamo che non dovrebbe essere estraneo il concetto per cui “la parola ha senso solo quando migliora il silenzio”, onde evitare i dolenti effetti di una malriposta improntitudine.
Alla resa dei conti, tra inessenziali ed irritanti sproloquiamenti, buon risultato è estromettere dal dialogo l’ “effetto monologante” (salvo che non si tratti di Joyce).
Onde evitare brancolamenti al buio (ed alla luce), anche il nostro volume di argomenti andrebbe periodicamente rivisitato, anche fruendo della dote dell’ascolto.
L’idea non è quindi “esibire i pensieri” sempre e comunque, bensì “edificarli” progressivamente, nella misura in cui qualsivoglia dialogo ci permette di assiemare utilmente concetti, riservando l’eventuale spirito critico, prima di tutto, a noi stessi.
Massimiliano Barbin Bertorelli