Una volta intrapreso un percorso, quando ci si accorge che ha un lastricato sconnesso, non è facile né immediato tornare sui propri passi, trovare spazi di manovra, margini diversivi di “fuga”, percorsi alternativi di rotta.
Per un verso, va ricordato, è un percorso che abbiamo scelto di percorrere liberamente, senza imposizioni. Per l’altro, a prescindere da tutto, non è possibile nè naturale pianificare il contesto che frequentiamo e pre-vederne profeticamente ogni variabile.
Menzionando Maurice Blanchot secondo cui “la padronanza è la capacità di interrompere un’azione, riconoscendo la decisiva perentorietà dell’istante”, in realtà raramente la si possiede.
Occorre talento e fortuna per costituire, ideare e adottare comportamenti fin da subito risolutivi, anche controcorrente. Per reagire prontamente all’occorrenza o scansare quelle disarmonie su cui, più o meno consapevolmente, ci siamo da tempo adagiati.
E’ legittimo pensare che tutte le nostre azioni siano intrise di logica: in quanto tali, efficaci e soddisfacenti. Tuttavia, come un’illusione, il più delle volte questa logica ha una dimensione personale ad effetto dissolvenza: mentre ci avviciniamo, come un miraggio, sbiadisce fino a rendersi inattingibile, scomparire.
In verità, ciò con cui individualmente ci raffrontiamo è uno statuto resistenziale, una iper-realtà, un’ipotesi di frontiera personale: l’esito sclerotizzato di un deficit di rapporti che l’età e l’esperienza (che per luogo comune la connota) non riescono a colmare.
Cosicché, quando ci impegniamo altrimenti e scompostamente, vorremmo ottenere, per incauta e fallace presunzione, effetti differenti anche se operiamo sempre secondo stessi identici schemi.
Molto semplicemente, ci sfuggono il tempo ed il modo per capire l’entità e l’evoluzione naturale di certi impercepiti sommovimenti.
Un persistente limite extra-temporaneo restano l’abitudine, l’inclinazione personale, la corazza caratteriale, a rendere artificioso e macchinoso il processo intuizionale-cognitivo, spontaneo nella sua escursione originaria.
Ed ecco che, paradosso del tempo e allegoria dell’umana illogicità, una rabbiosa indifferenza (può essere rabbiosa l’indifferenza?) si inocula nel nostro pensiero, cogliendoci di “sorpresa” (e non è mai una sorpresa lieta).
Dinanzi ad una evidente deriva ego-logica, esulta la nostra ingenua pretesa di volontà, gongola in un vacillante reame, popolato di arcani pensieri e di confuse emozioni.
All’avventatezza di un tal procedere gregario e miope é implicato un effetto collaterale, che giocoforza intercetta l’ umana esistenza: l’effetto di subire.
In tal senso, capire le cose che ci accadono intorno non è un’opzione, un’esigenza inessenziale rispetto al susseguirsi dell’intreccio inestricabile dei bisogni, anche se la costante volontà di capire trova spesso in noi una accigliata resistenza o solo finto favore.
In conclusione, a conti fatti, voler capire è una buona intenzione, alternativa al dover subire.
Massimiliano Barbin Bertorelli