Non di rado, nel ricevere confidenze da amiche e conoscenti, registro una imponente e nascosta mole di condizioni sentimentali afflitte.
Nell’affrontare una sintetica narrazione sull’argomento, mi riferisco alla quota di relazioni di coppia che giace in una grave situazione domestica, non solo innervata da quotidiana tensione, ma anche da dinamiche di vero e proprio “scontro”.
Tali circostanze private, potenzialmente violente, esigerebbero un drastico intervento di volontà individuale per mutarne il percorso alla radice: intervento necessario per estirpare ogni inessenziale condizione di affanno.
Malgrado ciò, alcune donne si limitano a subire tali condizionamenti e tendono a cristallizzarsi nel proprio dolore, lasciando inalterate le condizioni al contorno.
Dinanzi all’esigenza, sana ed auspicabile, di cambiamento, la volontà pare recedere, rinunciare, quantomeno procrastinare ogni decisione, forse nella speranza di una volontà esterna che intervenga a ridimensionarne le sorti.
Pare disporsi un comportamento giustificatorio dell’operato altrui, in scia di una radicata cultura educativa innervata ad un latente senso di colpa, che derubrica la gravità in cui incorre il rispettivo clima familiare.
Pur in un’epoca proclamativa di libertà individuale, permane un’idea di esistenza affettiva che relega alla sopportazione e che inibisce ogni possibile mutamento.
Anche per questo, circostanze di tal specie divengono irrivelabili e vengono taciute agli altri, anche agli affetti più cari.
Tale permanenza nel disagio, tale incapacità ad darne fattiva risoluzione, pare contrapporsi, a livello di superficie, all’idea di individuo (donna, in specie), esportata da questa Società, evoluto, libero ed indipendente.
Sia come sia, talune situazioni sentimentali gravemente afflitte, senza entrare nella specificità delle singole dinamiche, esprimono, al contrario, un sistema sociale ammalorato ed involuto, anche sentimentalmente. Un sistema in cui troppo viene sacrificato e devoluto alla vetrinizzazione, ad una esposizione falsificata di sé e del proprio contesto sociale.
Fenomeni di violenza, esercitata anche a livello domestico, si sono purtroppo avvicendati nella storia passata, nella misura in cui essi assumevano una veste tragicamente occultata e raramente mutabile.
In tal senso, talune circostanze correnti persistono e dimostrano, nella netta divaricazione tra etica pubblica e privata, la nevrotizzazione sociale che pervade ogni ambito dell’esistenza, disponendo situazioni “sentimentali” al limite della paranoia e del reato (quando si ha la forza ed il sostegno di denunciare il misfatto).
In conclusione, il confinamento pandemico in atto tende a palesare un fenomeno tristemente noto. E rende, in parte, percepibile anche all’esterno ciò che prima era omertosamente occultato tra le mura domestiche.
Massimiliano Barbin Bertorelli