In taluni casi, per quieto vivere, data l’imponenza e l’immanenza delle alterne vicende, si rende indispensabile astenerci, far finta di niente, fare orecchio da mercante. Se del caso, deglutire l’amaro fiele.
In talaltri, assuefatti da astratte enunciazioni, subliminali messaggi, proclami in sedicesimo, tendiamo ad abbandonarci, seppur sfiduciati e rabbiosi, dinanzi a tali effluvi di parole, florilegi di buoni propositi ed anche d’infinite polemiche “tutti contro tutti”: comburenti di un futuro radioso, provvidenziale riscossa da un presente non entusiasmante e da un’idea ansiogena del futuro.
C’è da chiedersi come si possa essere così ostinatamente ingenui. E così impreparati al replicarsi delle circostanze.
Forse perché, in certi casi, è più facile assentire che dissentire, credere a un qualcosa piuttosto che discuterlo ed eventualmente smentirlo. Forse è più facile abbandonarci alle lusinghe ed alla liturgia della retorica e della propaganda, ad un lirismo egoriferito ed egoevidente, ben mimetizzato da un manierismo etico di facciata.
Tentazioni che, via via, si affastellano ed avviluppano. Una cornice dorata che abbellisce una crosta, un dipinto di scarso valore.
Districarsi non è mai impresa facile, tuttavia possibile. Esattamente come lo è guidare l’auto, appena si è imparato a gestire ed a sincronizzare tutti i numerosi comandi.
C’entrano, in tutto questo, la reciproca diffidenza che infesta ed inquina la nostra vita e gli ossessivi pregiudizi che impediscono la comunicazione e boicottano ogni possibile dialogo. C’entra, a maggior ragione, l’indispensabile discernimento tra realtà e fantasia, tra forma e sostanza.
Resta, per differenza, una discrasia civica de-moralizzante: il calo di autorevolezza di una politica che, da una parte o dall’altra, si pone titolo a ricoprire un ruolo e ad occupare posizioni con lo strepito, l’azione donchisciottesca, l’eroismo verbale, l’accreditamento etico.
Magari, esponendo quell’ottimismo di facciata tipicamente italiota che tende a pubblicamente negare, quantomeno sminuire e ridimensionare ogni difficoltà. Nel contempo, affidando le proprie sorti al futuro, alla sorte propizia; confidando nella “provvidenza”.
E concludendo sempre con un’allarmata invocazione all’impegno. Quello degli altri, ovviamente.
Massimiliano Barbin Bertorelli