Mi affido al tono tassativo, inderogabile come il passaggio della pubblicità nelle Tv commerciali, per esprimere il senso unico dell’affermazione “chi è latitante e manchevole nel proprio presente, si astenga dal profetizzare l’altrui futuro”.
Incalzo ulteriormente. Ammesso che taluni vogliano, tanto ingenuamente quanto convintamente, protendere ad un altrui profetico “carisma”, si escluda a maggior ragione la circostanza quando il divinatore esprime ed ostenta un dialogo scomposto ed analfabetizzato.
Procedo quindi attraverso questo periglioso “luogo”, infestato di umane angosce e miracolosi rimedi, mettendo così le basi per disconoscerne la validità e, quindi, essere colpito da un sempre incombente malocchio.
Nondimeno, è un dato oggettivo notare l’incedere traballante di un certo numero di “bipedi umani”, avviluppati da un’insana smania cognitiva di taglio profetico. Tale da configurarsi, quindi, nel doppio senso di circolazione: tanto richiedere notizie sul proprio futuro, quanto, all’opposto, di elargirle (dietro giusto corrispettivo).
Dinanzi a tale considerazione, s’aprano pure le cateratte, ma non si sottaccia l’evidenza della questione posta.
E’ cosa risaputa che una scarsa sicurezza di sé e del mondo, sotto le mentite spoglie del suo contrario, inclini l’uomo verso una deriva composta di superstizioni e credenze, da riporre nel prossimo.
Risposta a tale inclinazione è il proliferare di partite iva di fattucchiere dalle presunte capacità divinatorie.
Il “mercato” reagisce alla “domanda” con una adeguata “offerta”. Così, l’esigenza di taluni di essere rassicurati trova la ghiotta occasione in talaltri di illuminarne il cammino.
Non è sorprendente, quindi, scoprire improbabili maghi, totalmente compresi nel proprio ruolo di guide spirituali, confortare una moltitudine di soggetti incerti, variamente distribuiti nella scala sociale.
Tal diffusa condizione di bisogno impone di considerare l’endemia che caratterizza il fenomeno. Che l’attenzione si ponga quindi su tali aspetti che, similmente ad altri, insidiano l’umore di tutti i giorni, “giocando” su mancanze individuali (ed anche collettive), che traducono la pochezza cui si riducono i sempre più angusti spazi di relazione di ogni contesto antropizzato.
Massimiliano Barbin Bertorelli