Per le ricette di cucina, è usuale combinare gli ingredienti per realizzare un nuovo prodotto. In altri casi, invece, è meglio non confondere le carte in tavola, meglio tenere separate le parti.
In specie, è meglio non confondere il valore professionale con il valore personale.
Tali valori, infatti, non necessariamente corrispondono con esatta simmetria: non si possono intendere come un palindromo, quando una parola si legge da entrambi i sensi.
A ribadire la questione, anche se una quota di aspettative si insinua in noi per opinione comune, giacché capita pubblicamente di vedere associate cariche professionali & virtù morali, ritengo prudente disapplicare privatamente tale personificazione e dismettere l’ esigenza sociale da cui deriva.
Occorre praticare, all’inizio, una sospensione del giudizio, pur riconoscendo che, dinanzi a certi pubblici riconoscimenti, si è indotti ad adornare il protagonista d’un lungo strascico di eccellenza.
La trattazione intende ridimensionare la pretesa della compenetrazione tra titoli & virtù: a maggior ragione in una società dell’apparenza, che accredita, a netto favore dello spettacolo, testimonial inappropriati.
Per analogia, in questa confusione intuizionale può anche diffondersi l’idea che la peculiarità da viaggiatore, l’istinto esplorativo, addensi in sé una percezione di superiorità esperienziale rispetto alla peculiarità stanziale.
Se così fosse (ma non è), sarebbe ipotizzabile una sminuizione della caratura di Constable, artista stanziale, rispetto a Turner, artista viaggiatore. Parimenti, l’esotica narrativa di Salgari verrebbe svalorizzata dinanzi alla sua indole tutt’altro che nomade, anzi domestica. E potrebbe anche sfigurare la straordinaria narrativa emozionale di Emily Bronté, visto il suo pressoché inesistente vissuto sentimentale.
Quanto sopra è compendio ad una più ordinaria vicenda in cui una insegnante, relata refero, animosamente criticata da un genitore di un alunno, si è vista obiettare pretestuosamente la carenza di maternità in relazione alla sua capacità didattica.
Diciamo che, semplicemente, l’individuo va considerato per come si pone, senza condizionamenti da acclamazioni accademico-sociali. E se, per automatismo, persistesse l’intenzione di integrarne i titoli con una super-erogazione di virtù, si metta in conto delusione e disincanto.
La circostanza per cui le glorificazioni mediatiche ammantano di simpatia il soggetto, esponendo un sorriso professionale o una cordialità a scadenza, trova primo campo-pratica nell’ambito dello spettacolo.
Così, come nell’ esposizione di un prodotto commerciale gioca l’appeal del testimonial, similmente, ciò che si sbandiera pubblicamente (certa solidarietà di maniera, certo accreditamento etico) può svelare “un gigante dal piede d’airone”, ironizzando con Ibsen.
Senza scarnificare la scorta di fiducia ancora disponibile, concludo delineando l’ipotesi che certe odierne vestizioni riguardino solo la facciata.
Proprio come l’opera “Neverland” di Halil Altindere, esposta nella trascorsa Biennale di Venezia, consistente solo in una facciata in stile palladiano, senza niente dietro. Massimiliano Barbin Bertorelli