Può coesistere un fallimento collettivo con l’idea di un successo personale?
La questione, così sinteticamente posta e così drammaticamente divaricante, crea un dilemma tra aspetti pubblici e privati della condotta politica.
La ciclicità delle eterne vicende può ben inquadernarsi in questa articolata modalità di coesistenza, quando esprime, da un lato, un proposito di bene comune proclamato a furor di popolo e, dall’altro, l’intendimento antipodico e sottopelle di derivarne vantaggi, diretti o indiretti, pubblicamente inconfessabili.
Con la traduzione della impietosa considerazione di Tacito nei confronti di Pompeo, “ipocrita, non migliore”, si può rappresentare questa modalità evergreen, applicata nella politica antica, moderna e, per coerenza, anche contemporanea.
Essa ricade tra le attitudini dell’uomo, per generalizzarne la trattazione, quando prevede e dispone di pensare unicamente alle proprie sempre irrisolte questioni, all’esaudimento prioritario dei propri desideri, adottando a pretesto le esigenze di una comunità, allettandola con pretesi comuni benefici.
Misere analogie aleggiano intorno all’osservazione delle vicende politiche nostrane, dalle quali dedurre, tra l’altro, la paradossale circostanza che talune personali mete non richiedano neppure particolari infingimenti, giacché le si fa corrispondere, negli effetti presunti, ad impellenti istanze della comunità.
Ecco perché nessuno mai riusciamo a mandare a casa, anche quando ne persiste l’insufficienza. Ecco perché nessuno mai possiede quel senso individuale di vergogna che dovrebbe fare istantaneamente e definitivamente abbandonare ogni velleità di posizione.
L’interesse personale, mimetizzato alla bell’e meglio, pare dominare sull’interesse pubblico. Pur tuttavia, il sistema in cui opera resta inalterato, tra rimpasti e continue tattiche, con l’inermità di un elettorato cui si può chiedere il voto, ma anche no.
Cosicché, sia in caso di consenso ottenuto per fase elettiva, sia per fase fai-da-te, come prodotto monocratico, l’elettorato resta un’entità estranea, dinanzi ad una politica senza popolo. Massimiliano Barbin Bertorelli