Il presupposto della narrazione è la diffusa adulta convinzione-presunzione che mantenere una vita immobile corrisponda, quantomeno agevoli, la pretesa di stabile felicità.
Il cambiare per cambiare, non a caso, viene inteso come masochistica autoproduzione di guai. Quindi, mutare le cose, in specie quando le si reputa abilmente assestate, comporta danno certo.
Per proprietà transitiva, ne discende che ogni modificazione del recinto socio-affettivo, ogni innovazione di un equilibrio faticosamente raggiunto, al netto dell’immaginazione, danneggi le cose.
Per comodo paragone, se l’ immobilismo animale si rivela un buon metodo di difesa e di sopravvivenza, altrettanto si rivela l’ immobilismo umano.
Infatti, immobilismo non va qui inteso come la salvifica temporanea fissità tattico-difensiva dell’animale. All’opposto, trattasi di una sclerotizzazione delle condizioni personali e della parallela rimozione di ogni velleità di novazione/cambiamento come presupposti di una vita stagnante.
Ricorrendo pertanto tale adulta convinzione-presunzione, l’individuo non tarda a ricordare il cane al guinzaglio, la cui libera escursione di movimento all’ esordio, si interrompe bruscamente al fine corsa.
In verità, la “prudenza più stagnante” (cit. Lucio battisti,) come presupposto esistentivo, raramente porta ad esaudire una stabile felicità.
In verità, il suo effettivo esaudimento esige un presupposto un zinzino più spavaldo, rispetto all’ offerta retributiva garantita da ogni zona di confort.
Di fatto, restare immobili, con-fidare su un punto di appoggio definitorio, incorre nel rischio di una realtà stabilmente infelice.
Ciò scritto, la fiducia nell’immobilismo, ben prima del suo fine corsa, nutre la probabilità di scoprirsi in-autentici.
Vale concludere con l’ im-pertinente affermazione di Pierre Manent: “L’ambizione di ogni individuo è riuscire a passare da una vita subìta ad una vita desiderata”. Massimiliano Barbin Bertorelli