Svariate narrazioni hanno riguardato il vizio capitale dell’ avarizia combinandolo a grettezza & aridità secondo una silloge famigerata: detto fatto, l’iconografia pittorica medievale rappresentava l’avaro con un borsello appeso al collo.
A questo punto, tralascio l’opzione parsimonia con cui l’avarizia tende a camuffarsi e la filosofica distinzione tra taccagneria, tirchieria, avarizia del greco Teofrasto (300 aC) per attenzionare invece le modalità con cui la categoria intesse le poche e mirate frequentazioni sociali.
In soldoni, il requisito di tale modello esistentivo converge nell’ accumulo di beni materiali & nell’ evitamento di inutili esborsi.
Sotto sotto, l’ avarizia si esprime parassitaria e profittatrice, tenacemente radicata ad un precetto che in ogni circostanza contabilizza come priorità il vantaggio materiale.
A latere, per opinione comune, persiste il combinato disposto di avarizia materiale & avarizia affettiva, in forza della predilezione a tale approccio ragionieristico.
Detto fatto, il braccino corto, l’avaro per nominazione dialettale, per conservare il gruzzolo, abdica ad ogni evento sociale, salvo l’alternativa di una compagnia tollerante e/o generosa.
Egli dunque transita nel sistematico dilemma tra risparmiosa solitudine & tattico parassitismo.
Fatto sta che, in questo prefigurare il risparmio sopra ogni cosa, riecheggia l’ emblematica testimonianza fumettistica del capostipite Paperon de’ Paperoni: “non esiste brutta figura quando c’è di mezzo un possibile guadagno”.
In sostanza, agli albori dell’umana specie, la sopravvivenza del braccino si é inverata solo grazie al colpo di fortuna che sulla Terra non è precipitato alcun altro asteroide dopo quello che estinse gli sfortunati dinosauri preistorici.
L’ attuale fase della sua globale diffusione, invece, si è resa possibile grazie alla caratteristica dell’ humus sociale umano, la cui “natura-non naturale protende a generare relazioni aride”, citando liberamente G. Bateson. Massimiliano Barbin Bertorelli