C’è un antico precetto, mistico e trascendente, da cui promana la prudente opportunità di distaccarsi dalle cose materiali. Un precetto non facilmente traducibile nel gergo individualistico, sebbene possa costituire utile rimedio e drastica alternativa alla regola mondana contemporanea, compromessa nelle virtù, disseminata di vizi & di voglie, intese quest’ultime come “desideri normalizzati” (cit.).
Più semplicemente, un inapplicabile ed inconvincibile age quod agis (dedicati a ciò che stai facendo) é lontano anni luce dalla nevrotica sovrapposizione di suggeriti bisogni.
Con evidenza, la condizione aggioga l’individuo e lo rende superfluo, nella misura in cui lo avviluppa strettamente e lo condanna ad un servaggio poco confacente, nei fatti, ad una tracotante ideale superomista.
Si parva licet, ben si può rimarcare il concorrente pregiudizio di una condizione che, se alla partenza prevede un “tale” modo, di lì a poco, lo muta in “talaltro”.
A ben vedere, dall’osservazione del particolare e dalle vicende minime possiamo tra-durre e trasporre effetti più estesi. Nondimeno, ciò rende sempre possibile il fatto che “credere nel progresso non significa credere che un progresso sia già avvenuto”.
In medias res, il distacco da tale tipo di progresso resta facile prerogativa solo da parte di chi non è coinvolto. Quindi, se pare facile adottare il metodo, lo è nella misura in cui riusciamo a distanziarci da certi “coinvolgimenti”.
Ogni eventuale auto-confutazione dello stato-di-fatto diverrebbe quindi un’azione tendenzialmente intempestiva e, per certi versi, contraddittoria, più o meno “come togliere la scala dopo esserci saliti”, scomodando Wittgenstein.
Massimiliano Barbin Bertorelli