Tra chi il “ben-essere“ ritiene di possederlo, di averlo perso e di non averlo mai posseduto, esiste un abisso.
Una differenza che convive in un unica Storia, quella del genere umano, così come si può ricondurla alla citazione “diverse venture, un’unica meta” di Cesare Abba.
La questione sta, tra l’altro, nelle vaste proporzioni assunte oggi dal fenomeno, in sbilanciato bilico tra “ben-essere” e “ben-avere”, secolarizzato e trasmodato nella regola accumulatoria e mutualistica tra “valore” e “possesso”.
Non vi è dubbio che, in siffatto modo, cambiano le carte in tavola. E cambia anche la tavola.
Per tanto dire, il “ben-essere” assume forme e facce inusitate, con pinnacoli sempre più verticalizzati. Di fatto, inaccessibili, laddove non si può fare a meno di un costante desiderare e di riassortire gli incolmabili bisogni, di numero sempre crescente.
Inconsistente è ciò che caratterizza gran parte dei bisogni di questa umanità, giacché tra questi non figurano la gioia per la condivisione, per la comunanza. Tuttavia, esiste la probabilità, in attesa di s-conferma, che non esista gioia individuale duratura senza che a ciò non corrisponda una dimensione sociale allargata e pre-industriale.
Ciò pare in qualche misura assimilabile al pensiero del protagonista di “Storia di un uomo inutile” di Gorkji, secondo cui la qualità dei rapporti sociali si rinvigorisce solo in conseguenza della forza unificatrice della paura e del dramma (un incendio, in specie).
Solo in quel momento le persone, coese negli sforzi, si trovano a gioire insieme dell’eliminazione delle cause del travaglio. Solo in quel preciso momento cessano (seppur temporaneamente) sopraffazioni, dispute, prevaricazioni.
Fatta salva la prassi di quel “legame”, nelle usuali condizioni di ben-essere, invece, si possono riconoscer i sintomi di uno “s-legame” profondo, proprio perché esso ripone solo nel “ben-avere” il proprio feticcio, il proprio soddisfacimento simbolico.
E’ un luogo arcadico, utopistico, affermare che “la vera ricchezza è fatta di beni relazionali”, qual concetto inattuale e perlopiù misconosciuto.
Nondimeno, osservando il corrente habitus sociale e respirando il clima non-tripudians che compone l’umanità urbanizzata, si può chiaramente comprendere che non è certo questa la versione di esistenza più adatta alla fase del “ben-essere”.
Massimiliano Barbin Bertorelli