Il Natale di Harry di Steven Berkoff è in scena dal 9 al 14 aprile alla Tosse, per la regia di Elisabetta Carosio.
Enrico Campanati è solo sul palco nel ruolo di Harry. Chiuso in casa, Harry vive i cinque giorni che precedono il Natale in solitudine e intanto fa i conti con la sua esistenza, cercando di interrogarsi sul malessere e sulla percezione di isolamento che spesso la vicinanza del Natale rende meno sopportabili.
Lo spettacolo è ambientato in un periodo storico che precede l’avvento di Internet: la vicenda si colloca in uno spazio astratto, che rispecchia la proiezione della realtà del protagonista e inevitabilmentente stimola una riflessione sui nostri rapporti interpersonali .
Una realtà nella quale tutti noi siamo abituati a conteggiare il valore delle cose in base alla visibilità, una società che non ammette la solitudine ma quantifica tutto con parametri legati alla popolarità.
In questa visione di costante superficialità i biglietti di auguri natalizi ricevuti da Harry assomigliano ai Like dei social network, per cui è lecito domandarsi il vero interesse di chi te li manda. “Dove sono le persone che spediscono questi auguri di buone feste durante gli altri 364 giorni?” Harry se lo chiede. E’ un riflesso meccanico imposto dalla società questo rito, tanto per farsi perdonare la latitanza del resto dell’anno, la mancanza di un autentico rapporto, o un vero interesse verso la persona, o ancora un desiderio di esserci, di non essere dimenticati?
E poi: che significato ha davvero questa festa che celebra la nascita di Cristo per liberare l’uomo attraverso il suo amore? Dove è finita la fetta d’amore che spetta al protagonista, che ne reclama la sua parte per sentirsi “ uno dei suoi bambini e dov’è allora il mio bocconcino prelibato tenuto in serbo per Natale?” Dove il vero regalo, l’affetto, la vicinanza che ognuno di noi vorrebbe, che sa, che sente spettargli?
Harry lotta con tutte le forze per uscire da questo limbo. Un’interpretazione intensa che fa rivivere nello spettatore il senso di attesa di una vera umana attenzione che in fondo all’anima ci si aspetta, quel “qualcosa di bello” rappresentato dall’espressione di autentici sentimenti, anche se la ragione ci avverte di crederci poco.
Campanati recita confinato in un Eden immaginario, casa sua e il suo mondo mentale onirico, cercando prima di interagire e poi di combattere con le voci fuori campo generate dalla sua mente: ma lui stesso, si chiede, si è impegnato a prendersi cura della propria vita, a coltivare i buoni rapporti, il proprio “giardino”?
Inevitabili i confronti con le figure femminili, la madre, l’ex fidanzata, una deludente avventura sessuale.
Spettacolo di pungente ironia “dark”, grazie a un testo scritto con taglio tragicomico verso una rappresentazione grottesca del Natale.
Ognuno dei cinque quadri è contraddistinto da un rumore di fondo che il protagonista sente in testa. Suoni comuni e quotidiani che nella mente di Harry assumono valori simbolici e scandiscono il suo affondare in una situazione dalla quale è difficile riemergere.
Elisa Prato