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In corso al Teatro Ivo Chiesa Edipo re di Sofocle

In corso al Teatro Ivo Chiesa Edipo re di Sofocle
Edipo re di Sofocle

Edipo, figlio dl Laio, re di Tebe, viene esposto sul monte Citerone dal padre con i piedi legati (questo il significato del suo nome greco Oidipos): infatti un oracolo ha predetto al sovrano che sarebbe stato ucciso da suo figlio.

Raccolto da un pastore di Corinto che lo consegna  al suo re, Pòlibo, il giovane cresce nella reggia credendosi il figlio del re. Ma un bel giorno Edipo, reso inquieto da una battuta sulla sua nascita, vuol consultare l’oracolo di Delfo. Gli viene risposto di non tornare il patria perchè avrebbe ucciso il padre e sposato la madre.

Ignaro della sua vera origine si dirige verso Tebe.  Lungo la strada incontra il cocchio di re Laio e, al termine di una lite per una questione di precedenza, lo uccide. Arrivato a Tebe, risolve gli indovinelli della Sfinge, che si uccide per lo scorno e diventa per alcuni anni, dopo aver sposato la regina Giocasta, un re felice ed acclamato. Ma un brutto giorno scoppia a Tebe una terribile pestilenza e l’oracolo di Delfo sentenzia che, per sconfiggere il male, è necessario ricercare e scacciare l’assassino del re Laio. E qui comincia la disperata ricerca di Edipo fino ad arrivare alla tremenda verità nonchè, lo svolgimento proposto al pubblico.  

Una tragedia che fa riflettere sulla impotenza  dell’uomo di fronte al destino avverso, pur se persona leale e provvisto delle migliori intenzioni, pur se influente, seguito, stimato, capace di sfidare e di vincere un mostro sanguinario come la Sfinge (ma anche un monito verso persone che si fidano   troppo degli oracoli, che da quando il mondo è mondo dicono e non dicono…).

Il regista De Rosa, nel condensare lo splendido testo tradotto da Fabrizio Sinisi, ha  puntato sul rapporto fra Edipo e Apollo, il vero protagonista della tragedia; ma stavolta il dio ha un profilo molto diverso dai bei ritratti classici, prima con i suoi messaggi ambigui, poi con il suo istinto bieco di “vendicatore”: un unico attore veste i panni del dio e di Tiresia, il suo “portavoce”.

Apollo diventa il destinatario di una supplica, ma è una divinità inquietante, persino astiosa verso gli umani.  Edipo, prima osannato come salvatore di Tebe,  viene poi costretto all’esilio dopo la doppia scoperta di essere il figlio del re Laio, che ha  ucciso, nonchè di aver sposato la propria madre.

La scena oscilla fra il gusto antico sullo sfondo e i microfoni montati su strutture trasparenti e mobili, i costumi sono moderni, quasi a sottolineare le pieghe potenzialmente attuali del  racconto. Sempre toccante il testo, anche nella riduzione, con un certo tocco di paradossalità tra la futilità della causa dell’omicidio del re e i sentimenti profondi di Edipo, una volta scoperta la verità, sul destino delle sue figlie, Antigone e Ismene. 

ll coro è rappresentato da due attrici (Francesca Cutogliolo e Francesca Della Monica) alle quali è affidato il canto, che a somiglianza dei cori dei testi greci è una dolorosa litania del lamento di Tebe devastata dalla peste. Bravi tutti gli interpreti, Marco Foschi nei panni di Edipo, Roberto Latini nelle due parti dell’indovino Tiresia e Apollo, Frédérique Loliée nel ruolo di Giocasta, Fabio Pasquini nel ruolo di Creonte. Un appunto? La recitazione urlata: anche considerando l’attesa drammaticità della rappresentazione, la recitazione poteva rendere di più se condotta con un tono più intimista, sommesso. 

Fino a domenica prossima 26 gennaio, durata un’ora e un quarto.

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Sofocle, considerato con Eschilo ed Euripide uno dei maggiori tragediografi del teatro antico greco, nasce in Atene o nei suoi dintorni nel 497 o 495 a.C. La famiglia agiata, proprietaria di una fabbrica d’armi,  dà al figlio una signorile educazione, musica, ginnastica, per cui il giovinetto acquisice un corpo aggraziato e un perfetto equilibrio  di energie fisiche e morali che gli permetteranno di guidare il coro degli efebi che cantarono il peana dopo la vittoria di Salamina e una notevole attività nella vita pubblica..Stratega amico di Pericle  e amministratore di contributi bellici ed emergenze, profondamente religioso, ama chi si tiene lontano dagli eccessi e vive giusto e pio, si sposa tardi ed ha cinque figli. Molto amato dai contemporanei per il suo carattere mite e cordiale nonchè per le sue capacità, muore nel 406. Vastissima è la sua opera, circa centotrenta tragedie di cui ne sono pervenute integre solo sette.

Se Eschilo fu il padre della tragedia greca, Sofocle ne fu il perfezionatore: Aristotele tracciò nella sua poetica le teorie intorno alla tragedia desumendole principalmente da Sofocle. Con lui la tragedia si umanizza: non più un solenne rito religioso con dei ed eroi sovrumani ma  l’azione di uomini di tempra eccezionale, studiati nella loro psiche, in lotta contro il fato, con se stessi, con la loro tristissima vita. Sofocle si avvale, con mano leggera ma comprensibile, della cosiddetta ironia tragica, per mostrare quanto è facile, per un uomo pieno di guai, illudersi fino all’ultimo e sperare sempre in una via di scampo. ELISA PRATO