In tempi di coronavirus tutto o quasi si è fermato. Improvvisamente ci si ritrova chiusi nelle proprie case.
Chi scopre lo smart working amandolo o detestandolo, chi si annoia perché non sa come passare il tempo e probabilmente non ha mai avuto tempo per godersi le gioie della vita. Chi si dispera perché privato dell’apericena del venerdì sera con gli amici o della prima del Carlo Felice dove non ha potuto sfoggiare l’ultimo abito da urlo appena acquistato per l’occasione.
A ballare il sabato sera non ci si va più, a giocare nel parco nemmeno, a pattinare o correre in corso Italia neanche per sogno. Sdraiarsi sulla spiaggia di Boccadasse? Un miraggio lontano!
Donne impazzite improvvisamente private di: shopping, estetista e parrucchiera; ammutolite davanti allo specchio a contare quanti capelli bianchi hanno in più di ieri e lo stress da reclusione casalinga forzata non aiuta di certo il loro cuoio capelluto.
Uomini attaccati alla play station a competere con i loro figli, a curiosare su internet e cercare contenuti che mai e poi mai avrebbero cercato prima. E anche loro riscoprono: creme di bellezza, lezioni di ginnastica on line, tornei di bridge on line, chat su chat con improbabili amori lontani che chissà quando rivedranno.
Bambini privati di un pallone, di una parco con erba verde dove correre spensierati, di un altalena e di una giostra, di una festa di compleanno e di tutti gli amichetti che riempiono la vita di un bambino.
Genitori preoccupati di vederli costantemente connessi e genitori abituati ad avere internet come baby sitter preferita.
E infine ci sono loro: gli anziani, anello della catena più debole e lo abbiamo imparato bene stavolta. I nostri genitori, i nostri nonni ai quali raccomandiamo di starsene a casa e non uscire. I più ligi obbediscono rassegnati; i più indisciplinati invece trovano ogni scusa per farsi un giretto, come andare a far la spesa in un supermercato tre volte al giorno con le cassiere che li vedono e mal tollerano questo atteggiamento irresponsabile.
Poi ci sono le aziende, quelle chiuse, quelle aperte, quelle che si sono trasferite nelle case dei loro dipendenti facendo scoprire a tutti che in fondo basta installare due semplici programmi e voilà, ti porti l’ufficio a casa e la tua vita cambia radicalmente. Chi continua a lavorare come prima con tutti i dispositivi di sicurezza necessari, ma la paura resta in agguato e se tiri un colpetto di tosse corri subito a misurarti la febbre.
Chi continua a lavorare ma prima creava vestiti di alta moda e ora crea mascherine protettive. Chi costruiva aerei, navi e altro e ora si trova ad assemblare respiratori per terapie intensive. Chi lavorava in corsia negli ospedali 6 o 8 ore al giorno e faceva un lavoro normale e ora ne fa 18 o 24 senza sosta portandone i segni sul volto e nel cuore, dove rimarranno per sempre. E ora li chiamiamo eroi perché lo sono davvero.
Chi continua a produrre cibo per garantire a tutti la sopravvivenza. Chi lavora senza sosta per garantire medicinali e prodotti di prima necessità. Perfino chi trasforma una nave in un ospedale e ci rende protagonisti di un primato internazionale che mai avremmo voluto vedere.
Chi continua a lavorare senza sosta sotto un ponte che non c’era più e ora c’è di nuovo, a testimoniare che il Covid-19 ferma tutti ma non tutto.
Chi non lavora perché ha dovuto chiudere una saracinesca senza sapere quando la rialzerà. Chi non lavora perché gli appalti sono bloccati e ha paura per il proprio posto di lavoro. Chi sarà messo in cassa integrazione senza avere certezze per il futuro.
Chi si è appena laureato in Medicina e fino a ieri non serviva ma oggi serve eccome! Chi medico lo è stato una vita e a 83 anni torna ad esserlo. Ti affacci alla finestra e vedi chi va in giro senza mascherine perché tanto non serve a niente e se me lo devo prendere me lo prendo; ma anche chi va in giro senza mascherine perché non se ne trovano e quando le farmacie erano piene non le hai comperate perché era solo poco più di un’influenza.
In tempi di coronavirus assistiamo a tutto questo. Tutto o quasi si è fermato; ciò che non si ferma è la speranza e la fiducia che torneremo presto alle nostre vite e saremo persone migliori. Sabrina Malatesta