L’inflazione in Eurozona ha fatto segnare l’8,6% su base annua. È l’ennesimo record da quando esiste l’Unione economia monetaria.
L’inflazione in Eurozona ha fatto segnare l’8,6% su base annua. È l’ennesimo record da quando esiste l’Unione economia monetaria. Sono stati eguagliati i livelli di inflazione americani di maggio, a loro volta a +8,6%, mai così alti da 40 anni. In Italia sono colpiti soprattutto i salari e il basso reddito.
L’ accelerazione dell’inflazione, nel secondo trimestre 2022, è stata determinata, in parte, dai beni energetici come il costo dei carburanti. Aumenti che hanno trascinato il costo di altri beni come gli alimenti e, in misura più contenuta, i servizi. Dati Istat sulle prospettive per l’economia italiana nel 2022-2023
Poiché tutto ciò incide in misura maggiore sulle spese delle famiglie con basso reddito, la crescita dell’inflazione segna valori più elevati per le famiglie con minore capacità di spesa. Per loro si passa dall’8,3% del primo trimestre al 9,8% del secondo trimestre, mentre per quelle più abbienti accelera dal +4,9% al +6,1%. Pertanto, il differenziale tra le due classi si amplia a 3,7 punti percentuali. Riportiamo I commenti da una nota dell’Istat.
L‘Unc (Unione nazionale consumatori) – si legge in una sua nota – parla di “emergenza nazionale”: “L’inflazione all’8% significa, per una coppia con due figli, un aumento del costo della vita, pari a 2.658 euro su base annua”, denuncia Massimiliano Dona, presidente dell’Unc, il dato è in salita fino 2.978 euro (827 solo per il cibo) per le famiglie numerose con più di 3 figli. Analoga preoccupazione viene dal presidente Carlo Rienzi, presidente Codacons che conferma i dati precedenti.
Che succede oltre oceano o meglio sui mercati finanziari americani? Chiediamo a Riccardo Grossi, consulente finanziario, abilitato all’offerta fuori sede.
«La settimana finanziaria appena terminata è stata ricca di importanti dati macroeconomici utili a conoscere l’evoluzione della congiuntura statunitense. Le vendite al dettaglio negli USA a giugno sono cresciute dell’1% superando le previsioni (+0.8%). La spesa dei consumatori rimane solida ma, non essendo i dati aggiustati per l’inflazione, riflette anche un aumento generale dei prezzi di beni e servizi. A tal proposito, l’indice al consumo USA di giugno ha registrato un incremento pari al 9.1% anno su anno (attese di 8.8%) che corrisponde anche al maggior rialzo su base mensile (1.3%) dal 1981. Il dato CPI core – depurato da generi alimentari e energia – ha subito un significativo aumento, in misura pari allo 0.7% mese su mese e 5.9% su base annua. I dati confermano che la pressione sui prezzi è forte, diffusa ad ampio spettro in tutta l’economia e sta avendo ripercussioni sui salari reali con un progressivo futuro rischio di recessione».
Ci può essere il rischio di recessione in futuro?
«Il FMI* ha quindi tagliato le stime sul PIL statunitense per l’anno in corso (proiezioni da 2.9% a 2.3%) e per il prossimo anno (da 1.7% a 1%), aumentando altresì le stime di disoccupazione. Il Fondo ha ricordato che una crescita dei prezzi su larga scala genererebbe dei “rischi sistemici” all’intera economia globale. In generale queste indicazioni spingono la Fed** ad adottare una politica monetaria aggressiva per frenare la domanda. Sul fronte valutario, infine, prosegue lo sforzo dell’Euro nel tentativo di rimanere sopra la parità contro il dollaro sostenuto da diversi fattori economici, geopolitici e da fondamentali migliori». Conclude il consulente finanziario Grossi. ABov
* MII: Fondo Monetario Internazionale. ** FED. Federal Reserve Bank è la banca centrale responsabile della stabilità monetaria e finanziaria negli Stati Uniti