Rispetto per morte e storia. No a logiche da supermercato mercato e elettorali
Nella diatriba a toni anche aspri che contrappone Socrem, società di cremazioni e la civica amministrazione circa un secondo forno crematorio presso il cimitero di Staglieno, interviene la scienziata Linda Alfano, responsabile del settore Cultura e Formazione del Centro Studi Edoardo Vitale, dottore di ricerca e professoressa a contratto di Bioetica presso l’Università di Genova, che spiega di non comprendere l’iniziativa del Comune e sottolinea come un sito mesto e drammatico come un forno crematorio “non può essere pensato come uno spazio deputato alla concorrenza tra le diverse agenzie di commercio, non si può usare il dolore della gente per fare campagna elettorale, un cimitero non può diventare un via vai di mezzi di trasporto provenienti da chissà dove”.
Maniera soft nei toni ma estremamente determinata e precisa nella sostanza e pensiero autorevole che arriva tramite lettera inviata al vice sindaco Piciocchi ed all’amministrazione sotto la Lanterna e quindi resa pubblica dal presidente Socrem, Ivano Malcotti, che spiega di ritenere lo scritto della professoressa una rappresentazione corretta ed un riassunto del vissuto di molti dei 16mila soci della Società di cremazioni.
“Un appello quello di Alfano – fa sapere Malcotti – che condivido e a cui mi associo”.
Punto di vista che il presidente ha poi postato sul sito Socrem, ottenendo nel giro di poche ore moltissime adesioni.
“Il forno esistente – ha scritto la professoressa – provvede da più di 100 anni, a costi limitati e con tempestività, all’attività di cremazione di tutti i nostri defunti. Il luogo dei morti è per ogni genovese un luogo di raccoglimento, di memoria, di arte e di storia.
Un luogo che la pubblica amministrazione dovrebbe pulire, conservare, rispettare. Il forno Socrem ha 120 anni di storia.
Esisteva quando ancora la cremazione era guardata con sospetto, come una pratica laica lontana da Dio. Esisteva quando la religione cristiana l’ha riconosciuta e legittimata. Sopra quel forno, nel tempio, sono sepolti gli uomini che hanno scritto la storia della nostra città”.
Forno, sottolinea, che “è la nostra città”.
Parole di grande autorevolezza a prescindere e che assumono un significato di elevato sentimento quando ricorda le caratteristiche del popolo genovese: “schivo, cresciuto fra il mare e le montagne; siamo stati una potenza marinara, siamo giovani Balilla, siamo stati, sul finire della Seconda guerra mondiale, la prima città in Europa a liberarci da soli dall’occupazione tedesca. Amiamo la nostra città. Ci piace l’aria pulita, ci piacciono le nostre memorie; ci piacciono le piccole e antiche botteghe del centro storico che state facendo morire costruendo supermercati ovunque, ci piacciono le nostre coste e il rumore della risacca, ci piacciono i nostri prodotti”.
E quindi, come un’esortazione che diventa un suggerimento di cultura e storia, Alfano invita a non trasformare “un luogo sacro in un altro supermarket, in un campo di competizione tra una società ricca e potente e tutte quelle piccole onoranze che hanno imparato il mestiere presso i nostri domicili, le nostre chiese, le nostre strade”.
“Probabilmente anche a casa sua”, osserva rivolgendosi direttamente al vicesindaco,
“Non lo faccia – insiste – lei sa che la competizione commerciale in questo settore offende il decoro delle persone. Lei sa che la competizione non apre a prestazioni migliori, ma per abbassare i costi, riduce la qualità dei servizi. Ha un’opportunità. Sia un uomo all’altezza di Genova”.
Appare impossibile a questo punto dare almeno risposta ad una garbata quanto decisa e argomentata presa di posizione che merita un’accurata ed attenta riflessione, a prescindere da eventuale condivisione o meno”. Dino Frambati