Fabio Giovinazzo, giovane e già affermato regista genovese, affronta un tema scomodo per la città e non solo, con un film documentario su Ponte Morandi, il viadotto crollato il 14 agosto dello scorso anno, con la morte di 43 persone.
Con il suo lavoro, sempre fuori dagli schemi, Fabio ama provocare, suscitare reazioni, dare uno scossone che sia seme di nuovi stimoli.
Quando hai cominciato a sentire il richiamo dell’arte cinematografica?
“A Genova, dove sono nato, ho seguito studi umanistici e scientifici…Cinema, fotografia, pittura, letteratura…in tutto cerco sempre di portare a compimento un percorso universale legato ai miei interessi. Ho imparato a fare le riprese guardando ogni genere di film e quando curo una regia divento il miglior psichiatra di me stesso. Mi piace ragionare sulla mia interiorità, poi consegnarla alle immagini, quindi offrirla al pubblico: lo trovo eccitante e terapeutico al tempo stesso. Il mio cinema è simile a un sogno, una fiaba. Non mi interessa fare arrivare messaggi.
Considerando me stesso un artista lirico, estroso e visionario, cerco di dare vita a mondi fuori dall’ordinario, sospesi fra sogno e realtà, psicoanalitici ma non banalmente provocatori. Tenendomi ai margini da tutto quello che il pubblico può oggi ottenere con fin troppa semplicità, persisto con fermezza e costanza a perseguire la mia idea di arte”.
Che cosa ricordi del percorso che ti ha portato al debutto e successivamente al punto dove sei adesso?
“Il debutto da regista è del 2012 quando ho trasformato in immagini il pensiero del poeta Edoardo Sanguineti nel film “Kinek ìrod ezt?”, aggiornato in versione definitiva qualche anno più tardi. Ho successivamente diretto il “Monologo di Palinuro”, documentario sulla vita di un quasi-centenario, all’interno di una casa di riposo per ex marinai. Sempre come regista ho portato a termine il film “L’Arte del Fauno”, storia di un moderno Charlot, quindi il documentario “BOB” distribuito dalla Home Movies, che racconta la vita di Roberto Quadrelli, vincitore del Premio Tenco, ed entità scomoda genovese, che attraversa da molti anni, e con straordinario coraggio, il panorama musicale underground.
In campo fotografico, ci sono opere che sono state esposte in diversi musei, e durante rassegne internazionali, poi a breve uscirà il primo romanzo. In passato sono stato redattore bimestrale “Segnali di Confine”, e ho fondato l’aperiodico “ΣΜΙΛΗ/SMILE” giocando sulla sublime ambiguità che tende a unire le parole “lama”, in greco, e “sorriso” in inglese, presentato all’ultimo Festival Internazionale della Poesia”.
Parliamo del tuo film su Ponte Morandi, un tema scottante che Genova ovviamente sente in modo particolare, ma che riguarda in generale tutto il paese. In quale chiave di lettura questo film, oltre che essere un dono ai genovesi, può essere definito un esperimento, per altro ben riuscito, che coniuga fiction e documentario, con elementi che sconfinano nella corrente video-art?
“Il film sul Ponte Morandi, prodotto da Nerofumo Prods & Actions e da Capra Pictures, può essere letto e interpretato come un vivo esperimento immaginifico, se una realtà di un certo tipo non viene presa troppo in considerazione.
Attraverso quest’opera non intendo perdermi in un affare politico, commentare una serie di ipotesi o spingermi a insegnare qualcosa. Il film rispecchia la mia natura intima e rappresenta una dimensione in cui la gente, se lo desidera, può entrare”.
Quali sono stati i punti di forza dello spunto narrativo, per arrivare a descrivere dal punto di vista di osservatore esterno e oggettivo, quel microcosmo che ha subito le ferite più profonde?
“Lo spunto narrativo mette in luce componenti diversificati che fanno gioco di squadra. Mi spiego meglio: l’elemento che si perde nella fiction può trovare respiro in un episodio raccontato attraverso uno stile fumettistico, le parole del documentario trovano una fusione interessante con il linguaggio della video arte. La grafica fa il resto, accompagnata da una musica che profuma di senso elettronico. In definitiva, una libertà di espressione a dosi equilibrate, senza conflitti e lotte verso una prevaricazione”.
Qual’è il segreto per riuscire a distaccarsi e vedere dal di fuori il pensiero di chi è stato testimone della tragedia?
“Avere fiducia in se stessi cercando di non oltrepassare una specie di frontiera morale. Così facendo le fantasie arrivano e si agganciano l’una all’altra. La storia nasce, prende forma e si sviluppa. E’ vero, i miei film non di rado aprono alla violenza e alla provocazione, ma è il compito di ogni forma d’arte generare qualcosa”. (nelle foto: l’attore Marco Tulipano che in un pregevole gioco attoriale interpreta un Morandi senza tempo; l’attrice Simona Garbarino, protagonista di una toccante interpretazione recitando un testo da lei stessa scritto; immagini esplicative del ponte con i suoi arti spezzati; gli attori Andrea Benfante e Anna Giarrocco, eccellenti in un episodio drammatico di pura fiction).
Roberto Roggero