Friedrich Schiller (1759-1805) è considerato da molti l’iniziatore della nuova drammaturgia tedesca. Già nel testo de “I masnadieri”, del 1780, denso di personaggi poco reali ma simboli di vizi e temperamenti costruiti da una mente giovanile ed esuberante, si intravedono i tratti salienti del drammaturgo a forti tinte, inserito in quello “Sturm und Drang” che fiorisce nella cultura germanica come primo stadio del “Romanticismo” che si svilupperà nell’ottocento.
In “Intrigo ed amore” (1784) si rappresenta il conflitto fra una piccola borghesia che vorrebbe essere onesta ed una aristocrazia cinica e corrotta, per la quale importa unicamente mantenere a qualsiasi costo ricchezza e potere, mentre rettitudine e sentimento sono calpestati,o per meglio dire, sono sconosciuti.
Il figlio dell’onnipotente ministro von Walter è sinceramente innamorato dell’onesta figlia di un musicista: il padre vuole destinarlo, invece, ad un matrimonio di copertura con la favorita del sovrano, dal quale, per questo servigio, si aspetta ulteriori vantaggi.
Non riuscendo a convincere il riluttante Ferdinand, Walter viene convinto dal segretario Wurm, invaghito della ragazza, ad avvalersi della sua opera per ricattare la giovane con la minaccia di nuocere al padre: la costringe a confessare un inesistente tradimento, rendendola così odiosa all’ingenuo ed idealista innamorato.
La sedicenne Luise è troppo giovane ed avvezza all’obbedienza (la vediamo prona davanti a Walter, anche dopo essere stata pesantemente offesa dallo stesso) per ribellarsi alle imposizioni del potere, così come è troppo fiduciosa per fiutare il veleno nella coppa che l’amato le porge, mettendo fine alla vita di entrambi.
Figura prediletta del teatro ottocentesco è l’innocente che si dichiara colpevole, la donna che per amore rinuncia all’amore. Un ritratto femminile ideale e non reale, che ribalta sulla donna le aspirazioni della giovinezza maschile, ritratto che non a caso si contrappone a quello più vigoroso e inciso di Lady Milfort, favorita del re, che, combattuta fra l’amore, il desiderio di onestà e la voglia di riscatto, ne esce alla fine più credibile e vincente.
Contrasti calcati, pathos giovanile esasperato, cinico macchiettismo dal quale non si smarca neppure l’amato padre musicista, che dimentica ogni onesto proposito di fronte ad un sacchetto di monete d’oro.
Un dramma che “svuota” lo spettatore: se è vero che il fine del teatro è la catarsi, ebbene Schiller fa centro perfetto.
Ma in lui c’è anche un sentore di redenzione, gli eroi non soccombono invano: già si odora il tragico epilogo del potere incontrollato e della corruzione dei regnanti, la rivoluzione francese.
Tempo al tempo, anche coloro che si credono dei in terra tremeranno di fronte al tonfo metallico della ghigliottina…
Elisa Prato (kira1602@libero.it)